Domenica 12 giugno, i cittadini italiani saranno chiamati a votare per i referendum abrogativi sulla giustizia, promossi dalla Lega e dal Partito radicale. Gli elettori dovranno esprimere la propria opinione su cinque quesiti, per lo più tecnici, incomprensibili ai non addetti ai lavori, che chiedono l’annullamento di alcune norme sul funzionamento dell’ordinamento giudiziario. Come previsto dalla Costituzione, per essere ritenuto valido il voto per ogni singolo quesito dovrà raggiungere il quorum, ossia dovrà partecipare alla votazione almeno la metà più uno degli aventi diritto.
Vediamo quali sono i cinque referendum:
L’abrogazione della legge Severino
Il primo dei cinque quesiti referendari riguarda l’incandidabilità e la decadenza dalle cariche pubbliche dei politici nel caso in cui questi abbiano commesso alcune tipologie di reato.
In Italia, i casi di incandidabilità e decadenza dei politici sono stabiliti dalla cosiddetta “legge Severino”. Quest’ultima è stata approvata in via definitiva il 31 dicembre 2012 e ha preso il nome da Paola Severino, ministra della Giustizia nel governo Monti.
In base alla legge Severino, non possono essere candidati o decadono dalla carica di deputato, di senatore o di parlamentare europeo le persone condannate in via definitiva per reati particolarmente gravi, come mafia o terrorismo; per reati contro la pubblica amministrazione, come peculato, corruzione o concussione; e per delitti non colposi per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore a quattro anni. Soltanto per gli amministratori locali, la legge Severino prevede la sospensione temporanea del mandato anche in caso di condanna non definitiva. La sospensione dall’incarico può durare al massimo un anno e mezzo.
La legge Severino è una misura assolutamente logica e necessaria, che deriva direttamente dall’articolo 54 della nostra Costituzione, secondo cui le funzioni pubbliche devono essere svolte «con disciplina e onore». «Il comportamento delle persone che occupano cariche pubbliche deve essere ancor più trasparente e virtuoso rispetto a quello dei normali cittadini, perché hanno responsabilità dirette nei confronti della comunità.
La limitazione delle misure cautelari
Il secondo dei cinque quesiti referendari sulla giustizia va a modificare le basi su cui possono essere disposte le cosiddette “misure cautelari”, ossia quei provvedimenti che un giudice può disporre su richiesta del pubblico ministero verso una persona, non ancora condannata in via definitiva, per esigenze, appunto, “di cautela”. Tra queste misure ci sono gli arresti domiciliari, la custodia cautelare in carcere o quella in un luogo di cura.
Oggi, in base all’articolo 274 del codice di procedura penale, le misure cautelari possono essere disposte a fronte di gravi indizi di colpevolezza e nei casi in cui ci sia il pericolo di fuga dell’indagato, di inquinamento delle prove, di compimento di nuovi e gravi reati o della reiterazione del reato per cui si è accusati. In quest’ultimo caso, la custodia cautelare si può applicare solo se la pena massima prevista per il reato in questione è superiore a quattro anni, o a cinque anni se il giudice intende disporre la custodia cautelare in carcere.
Oggi le possibilità di applicazione del provvedimento di custodia cautelare sono già opportunamente circoscritte proprio per evitare possibili abusi.
Invece In materia di misure di prevenzione personale, non possiamo non ricordare quelle a tutela della “sicurezza urbana” il decreto legge 20 febbraio 2017, n. 14 meglio noto come decreto Minniti-Orlando, dai nomi degli allora Ministri dell’Interno e della Giustizia. Le quali prevedono la sorveglianza speciale e l’allontanamento da luoghi con il Daspo urbano. Con questo referendum di fatto si lasciano inalterate le misure cautelari che vengono applicate per i reati politici (come quelle usate contro i no tav per esempio) per concentrarsi su questioni del tutto marginali, ma forse utili all’amministratore furbetto di turno.
Inoltre quanto chiesto dal secondo quesito referendario sulla limitazione della custodia cautelare contraddice quanto promesso dalla Lega di Matteo Salvini nel proprio programma per le elezioni politiche del 2018. A dimostrazione di quanta strumentalizzazione politica ci sia stata nell’indire questi referendum.
La separazione delle funzioni tra magistrati
Il terzo quesito del referendum sulla giustizia, tra i più discussi, riguarda la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti. I primi svolgono la funzione di giudice, mentre i secondi corrispondono ai pubblici ministeri (i cosiddetti “Pm”), quindi all’accusa. Oggi in Italia tutti i magistrati seguono lo stesso percorso formativo e nel corso della carriera possono decidere di cambiare funzione, passando dal ruolo di giudice a quello di Pm, fino a quattro volte.
La magistratura dovrebbe essere un corpo unico e quindi non è possibile imporre una separazione definitiva, all’inizio della carriera, tra le funzioni requirenti e giudicanti. Tra l’altro anche la riforma del Consiglio superiore della magistratura (Csm), l’organo di autogoverno della magistratura, approvata alla Camera e ora in discussione in Commissione Giustizia al Senato, interviene già su questo punto e prevede che i magistrati possano chiedere il passaggio dalle funzioni di giudice a quelle di Pm (o viceversa) solo una volta nel corso della propria carriera.
La valutazione dei magistrati
Il quarto quesito riguarda le modalità con cui viene valutata la professionalità dei magistrati. Ogni quattro anni infatti i magistrati ricevono una valutazione del loro operato, espressa con tre possibili giudizi: “positiva”, quando tutti i parametri sono soddisfacenti; “non positiva”, quando vengono individuate carenze in relazione ad almeno un parametro; e “negativa”, quando ci sono carenze ritenute gravi per almeno due parametri.
Le valutazioni sono effettuate dai consigli giudiziari, ossia gli organi “ausiliari” del Csm. I consigli giudiziari sono presenti in ognuno dei 26 distretti di Corte d’Appello e sono composti da magistrati eletti sul territorio, dal presidente della Corte d’Appello e dal suo procuratore generale. A questi componenti “togati” si aggiungono alcuni avvocati e professori universitari, che partecipano come membri “laici”. Il numero complessivo di componenti di ogni consiglio giudiziario varia in base al numero di magistrati in servizio nei vari distretti.
Attualmente, solo i membri “togati” partecipano attivamente al processo di valutazione dei magistrati, mentre i componenti “laici” sono esclusi. Il referendum chiede invece che anche i membri laici, ossia gli avvocati e i professori universitari, possano partecipare alle valutazioni.
Il quesito aprirebbe alla possibilità che, durante un dibattimento, un giudice debba confrontarsi con un avvocato che poi potrebbe influenzare, con il suo voto, un eventuale avanzamento di carriera. «Dobbiamo rimuovere tutte le possibili situazioni in cui avvocati e magistrati possano ingraziarsi tra loro, a tutela dell’indipendenza e della serenità di questi ultimi.
Anche su questo tema, come già per la separazione delle funzioni tra giudici e Pm, interviene la riforma del Csm ora all’esame del Senato. Il testo, che andrà al voto dell’aula dopo il 12 giugno, intende sostituire il sistema attuale introducendo, per ogni magistrato, un fascicolo di valutazione che raccolga i dati statistici sulle sue attività.
Le firme (non) necessarie per candidarsi al Csm
L’ultimo quesito del referendum è relativo alle modalità con cui i magistrati interessati possono candidarsi al Csm. Al momento, infatti, è necessario che ogni candidatura sia accompagnata da almeno 25 firme (e massimo 50) raccolte tra altri magistrati. Il quesito chiede di abrogare quest’obbligo, facilitando quindi le procedure.
I processi elettorali sono sempre basati sulla conoscenza dei singoli candidati da parte degli elettori. Di conseguenza, è logico che, anche nella magistratura, chi si candida deve partire da una base di consenso minima», ossia le 25 firme.
Che fare?
C’è anche da ricordare che questi referendum non hanno nulla di “popolare”. Sono state evitate la raccolta diretta od anche online delle firme per la presentazione. Sono stati infatti 9 presidenti di regione a supportare questa manovra politica di rilancio della destra populista. Difficile sembra trovare il senso politico complessivo dei referendum sulla giustizia E’ L’impunità o l’impunibilità di politici corrotti o una sorta di vendetta postuma anti mani pulite contro la magistratura in generale? O più probabilmente da parte di Salvini il tentativo di riconquistare il centro del palcoscenico politico per una Lega in difficoltà evidente.
Al contrario va ricordato infine la decisione della Consulta rispetto all’ammissibilità dei quesiti referendari su cannabis ed eutanasia, sostenuti rispettivamente da 600 mila e 1milione 200 mila firmatari, che ha fatto molto discutere. Nonostante il parere contrario della Consulta, (decisione “molto politica” che non vogliamo qui approfondire) il dato sociale è particolarmente importante: i due referendum hanno mostrato una forte partecipazione popolare, anche grazie alla possibilità, di poter sottoscrivere la piattaforma referendaria in forma digitale. Una misura approvata dalla Commissione Affari Costituzionali e Ambiente della Camera, al fine di semplificare la partecipazione dei cittadini anche durante il periodo delle restrizioni anti-Covid.
Quindi scegliere di non recarsi alle urne (o rifiutare le schede dei referendum nel caso di coincidenti elezioni amministrative) non è una scelta negativa, frutto di apatia politica, o di disinteresse verso le grandi questioni della vita collettiva. Al contrario si tratta di una opzione non solo libera, non solo legittima, ma pienamente rispondente alla logica propria del referendum abrogativo disegnato dalla Costituzione che ha voluto che esso sia fonte di una ampia partecipazione popolare. Se non fosse così i referendum, invece di essere un fondamentale istituto di democrazia diretta, diverrebbero una forma di imposizione ai cittadini a scegliere, “a prescindere” da ogni loro valutazione sulla qualità, il merito e l’interesse politico dei quesiti referendari.
Per questo, in questo caso, invitiamo quindi tutti gli elettori e le elettrici ad evitare di cadere nella trappola politica della Lega astenendosi (o non ritirando le schede in caso di votazioni amministrative) per far mancare il quorum del 50% più uno. Una volta tanto qualche schiaffone ai vari Salvini di turno e non ai cittadini non potrà che renderci più felici e sorridenti.
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