di Gabriele Stilli
Martedì 26 Novembre alcuni collettivi universitari milanesi, Ecologia Politica, Fuori Luogo, CUT Tekoser e il collettivo Controtempi, quest’ultimo legato alla nostra organizzazione, hanno lanciato una campagna contro la presenza di Eni all’interno del Consiglio di Amministrazione dell’Università Statale di Milano.
L’iniziativa ha visto la partecipazione di Re:Common, associazione che si occupa di inchieste contro la corruzione e che sta seguendo a Milano il cosiddetto “Caso Eni”, che è intervenuta in un incontro pubblico dopo la proiezione del documentario Faces of Africa – Ken Saro Wiwa, sulla figura dello scrittore e poeta leader della lotta del popolo Ogoni contro la Shell e le multinazionali del petrolio.
Durante l’iniziativa sono intervenuti i quattro collettivi promotori, parlando del ruolo di ENI in università e delle migrazioni ambientali causate dall’intervento delle multinazionali del petrolio. E’ intervenuto inoltre Lanrewaju Suraju in rappresentanza dell’organizzazione nigeriana HEDA Resource Centre mettendo a nudo le gravi responsabilità dell’ENI nella situazione del paese. Ha concluso il collettivo Controtempi con un intervento sull’incompatibilità tra l’ambiente e il modo di produzione capitalistico.
Una campagna contro l’ENI
La campagna continuerà nei prossimi mesi con l’obiettivo di allargare il numero di studenti e studentesse che si oppongono a questa ingerenza intollerabile dell’ENI sull’università di Milano.
Perché proprio ENI? Il “caso ENI” è un esempio delle contraddizioni del nostro sistema economico: un’azienda in origine pubblica e poi privatizzata; un’azienda che siede nei consigli di amministrazione delle unversità (sì, si chiamano cda come nelle aziende) e finanzia corsi di laurea e iniziative per farsi pubblicità e promuovere i propri interessi.
Un’azienda oggi sotto processo proprio qui a Milano per corruzione e che incarna una politica predatoria nei confronti dei territori dove opera. Un’azienda che, a dispetto di tutto ciò, mostra pubblicamente un volto umanitario ed ecologista, amico dell’ambiente, a favore delle popolazioni locali, in prima linea per uno «sviluppo sostenibile». Invece, Eni dimostra perfettamente come non esista alcuno «sviluppo sostenibile », nessuna compatibilità tra uno sviluppo umano e il modo di produzione capitalistico.
«La più grande tangente di sempre»
Per cominciare, è coinvolta in uno dei maggiori casi casi di corruzione della storia del nostro paese, che la Procura di Milano ha definito «la più grande tangente di sempre»: stiamo parlando di una maxi-tangente di 1,1 miliardi di euro al governo nigeriano. Ma non solo. Eni è responsabile dell’avvelenamento sistematico dei territori dove opera. Anche in Italia, come mostrano le fuoriuscite di petrolio nella Val d’Agri tra il 2016 e il 2017.
Soltanto nel settembre 2011 e soltanto in uno stabilimento dell’Agip, a Kataba, in Nigeria si sono verificati quattro casi di sversamenti, in cui il petrolio fuoriusciva incontrollato per sei giorni. E, come se non bastasse, il gas flaring : in Nigeria vi sono più di cento torri che sprigionano ininterrottamente lingue di fuoco contenenti benzene, diossina, sulfuri e altri particolati cancerogeni.
Su 168 miliardi di metri cubi di gas bruciati a livello mondiale, 23 (cioè il 13 per cento) provengono dalla Nigeria. E, nonostante tutto questo, Eni è anche una delle aziende che investe nel fotovoltaico (48 milioni di euro nel 2018 ) e che il mese scorso ha acquisito il 70% di Evolvere, azienda di gestione e istallazione di impianti fotovoltaici. Da un lato inquina, dall’altro crea business sulle alternative all’inquinamento.
Il greenwashing di ENI
Il greenwashing di ENI non consiste solo in una comunicazione aziendale di tipo ecologista e umanitario, ma in interventi diretti, seppur al momento minoritari, nel settore delle energie alternative. Questo doppio binario, questo giocare su più fronti in modo da aumentare in ogni caso i propri profitti, va smascherato e denunciato.
Eni è solo uno degli esempi, ma è il più evidente. Eni usa i suoi mezzi di comunicazione, i suoi investimenti, la sua presenza nelle università per consolidare un’immagine opposta al suo vero volto. Come ogni azienda, come ogni borghesia minimamente consapevole del suo ruolo. È un ottimo esempio per incominciare a scardinare, a mostrare il marcio dietro il volto bello e profumato del modo di produzione capitalistico, che promette pace e felicità per tutti e invece è in grado di donare solo devastazione, sfruttamento, sopruso.
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