di Giorgio Simoni
Alcuni scioperi nel settore dei trasporti pubblici sono stati indetti per il prossimo mese di luglio, sia a livello locale milanese, che a livello nazionale.
In particolare, i lavoratori del Gruppo ATM, nella nostra città, si asterranno dal lavoro per otto ore il prossimo 11 luglio, su iniziativa della CUB Trasporti. L’agitazione è indetta contro il tentativo “di conferire a soggetti privati la gestione del trasporto pubblico e la realizzazione delle relative infrastrutture, in cui ATM non sarà più il centro unico di controllo, ma un frammento di un consorzio pubblico-privato che avrà come scopo quello di distribuire profitti ai privati”.
Il riferimento è chiaramente all’associazione temporanea “Milano Next”, costituita da Atm con Busitalia (Gruppo FS), Hitachi Rail, A2A e altri soggetti privati. Questo gruppo di imprese si è proposto di gestire per 15 anni servizi e infrastrutture di trasporto pubblico locale nel territorio di Milano, della Brianza e delle Province di Lodi e Pavia. Nelle scorse settimane, il Comitato ATM PUBBLICA, composto da numerose forze politiche, sociali e sindacali milanesi, aveva pubblicato un appello contro la privatizzazione del trasporto pubblico milanese, che in questa ipotesi prenderebbe la forma del project financing.
L’ingresso dei privati nel trasporto pubblico
La preoccupazione di CUB Trasporti è chiara: “L’ingresso dei privati nella gestione del trasporto pubblico – si legge in un volantino – porterà inevitabilmente con sé tagli al servizio, personale, abbassamento dei salari e dei diritti, aumento degli orari di lavoro, diminuzione dei riposi ecc… Unico sistema per portare guadagno ai privati ottenibile con la disdetta degli accordi aziendali e la proposizione di contratti già esistenti (contratto Bus Italia, futuro partner di Milano Next) siglati a suo tempo da sindacati Confederali e autonomi.”
Infine, una sfida viene lanciata direttamente a Palazzo Marino, perché “l’alternativa esiste. L’Agenzia di bacino e il Comune di Milano possono procedere all’affidamento diretto dei servizi di trasporto pubblico ad ATM (cd. Affidamento “in house”).”
Le segreterie nazionali di FILT CGIL, FIT-CISL e UILTRASPORTI hanno invece indetto uno sciopero nazionale dei trasporti per il prossimo 24 luglio (posticipato di due giorni per il comparto aereo). Benché, per fare un esempio, il CCNL degli autoferrotranvieri sia scaduto il 31 dicembre 2017, l’agitazione non è rivolta contro i datori di lavoro, ma verso il governo, al quale vengono segnalate “le criticità che si addensano nei vari segmenti del settore dei trasporti che, oltre a penalizzare il Paese rendendolo meno competitivo degli altri Paesi europei, stanno determinando una perdita di efficienza del sistema produttivo italiano”.
I confederali a favore delle grandi opere
È in questa logica che la piattaforma di indizione afferma: “Abbiamo bisogno delle grandi opere per costruire corridoi europei funzionanti, efficienti ed efficaci, necessari all’Italia quanto le opere di adeguamento ed ammodernamento di collegamento al resto del Paese di tutti i territori, anche di quelli più periferici”. Benché l’acronimo TAV non sia citato esplicitamente, è del tutto chiaro di cosa si sta parlando.
Ancora si legge: “Abbiamo inoltre bisogno di un modello industriale del settore che superi il nanismo di impresa, che è sempre di più un elemento frenante del sistema, compiendo scelte che favoriscano le aggregazioni attorno a grandi soggetti industriali che possano, assieme alle medie e piccole imprese, rafforzare la fragile ossatura del sistema”. Sembra un via libera a prescindere alle fusioni e aggregazioni, allo “shopping”, nel trasporto collettivo, di colossi nazionali come Busitalia o internazionali come Arriva, Transdev o Ratp, senza alcun tentativo di difendere il carattere pubblico dei servizi e delle aziende che li erogano, quanto meno per il trasporto locale e ferroviario. Se è vero che, in certi casi, può essere utile ricercare ulteriori economie di scala, non si può, a nostro avviso, prescindere dalla difesa del carattere pubblico dei servizi e dal rapporto con gli enti locali del territorio.
Non manca, infine, nella piattaforma di indizione, un capitoletto dedicato al diritto di sciopero. Si vuole forse chiedere la revisione o l’abrogazione della legge 146/1990, che con le sue infinite regole e cavilli ostacola il pieno dispiegarsi delle azioni di lotta dei lavoratori e delle lavoratrici? No. La preoccupazione è invece che tali norme “hanno comunque consentito il proliferare di azioni di sciopero di sigle sindacali, scarsamente rappresentative il cui unico obiettivo è, attraverso la saturazione del calendario, limitare ulteriormente la possibilità dei sindacati confederali di effettuare azioni di sciopero e conseguentemente acquisire maggiori consensi”.
Competitività o conflitto sociale?
Si tratta, complessivamente, di una piattaforma di sciopero veramente brutta, tutta incentrata sulla necessità di “rendere strutturale il tanto auspicato aumento della produttività del paese” e “la sua capacità competitiva”. Nessun conflitto, quindi, tra lavoratori e imprese, che anzi, in fondo, avrebbero interessi comuni, da rappresentare nella richiesta al governo di sottoscrivere un “Patto per i trasporti”.
In questo quadro non trovano spazio, ovviamente, né richieste di aumento dei salari, né di riduzione dell’orario di lavoro. Si coglie invece l’occasione per cercare di limitare la libertà di azione del sindacalismo di base (del quale a noi non sfuggono i limiti, soprattutto in termini di frammentazione e settarismo, ma che evidentemente ha lo stesso diritto dei confederali di organizzare e rappresentare i lavoratori).
Molte volte abbiamo bollato l’iniziativa dei sindacati confederali, che ancora largamente controllano i lavoratori, anche nel settore dei trasporti, come “insufficiente” o “limitata”.
Con piattaforme come quelle dello sciopero nazionale del prossimo 24 luglio siamo, però, un passo oltre. Dire che appare come un’iniziativa controproducente e fondamentalmente contraria agli interessi della classe pare il minimo.
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