di Giorgio Simoni
La questione dell’incremento delle tariffe del trasporto pubblico a Milano sta occupando in questi giorni le pagine locali dei quotidiani, per via della polemica a più riprese tra il Sindaco Beppe Sala e il Presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana.
Sul tema siamo già intervenuti varie volte (vedi qui e qui), sottolineando come l’aumento previsto, seppure nell’ambito di una manovra molto articolata, sia superiore al tasso d’inflazione e comunque socialmente iniquo, perché corrisponde a un maggiore imposizione indiretta, colpendo i consumi e non i redditi (al pari, ad esempio, dell’IVA).
Tuttavia, è utile tornare sull’argomento, per ricostruire le vicende che hanno portato sino allo scontro attuale.
L’allarme della Corte dei Conti sui costi del metrò 4
Occorre fare un salto indietro nel tempo sino a luglio del 2015, quando la Corte dei Conti lanciò l’allarme sull’indebitamento del Comune di Milano per la realizzazione della linea 4 della metropolitana. Mancava un piano ufficiale che spiegasse come i bilanci dell’ente locale potessero sostenere l’impatto dei costi vivi e dei forti tassi d’interesse sui prestiti delle banche. E si cominciò a ipotizzare che la soluzione sarebbe arrivata dall’aumento del biglietto Atm.
Milano, in quel momento, era in piena “sbornia” da Expo, a Pisapia mancava solo un anno per la conclusione del mandato e il Sindaco “arancione” non volle deliberare un nuovo aumento dei prezzi del trasporto pubblico, dopo quello, già consistente, deciso all’inizio del suo incarico.
La musica, però, cominciò a cambiare con l’elezione di Beppe Sala. L’ex commissario unico di Expo, diventato primo cittadino, paventava, prima sommessamente, poi con sempre maggiore insistenza, la necessità di portare il biglietto a due euro. Riuscì, infine, a convincere la sua maggioranza: l’ultima riunione della giunta comunale del 2017 formalizzò la scelta, l’obiettivo dichiarato era di introitare almeno 50 milioni di euro in più all’anno.
La decisione della giunta Sala: biglietto a due euro
E’ da notare che la delibera in questione, la n. 2389 del 29/12/2017, non parlava né di integrazione tariffaria (biglietto unico per tutti i bus e i treni) né di riequilibrio dei prezzi tra città e hinterland, temi oggi sbandierati da Sala e dall’Assessore ai Trasporti Marco Granelli. Si leggeva invece che “relativamente al trasporto pubblico locale” occorre “individuare le azioni tariffarie che mirino a recuperare un maggiore equilibrio tra il costo sostenuto dalla fiscalità pubblica e il livello del servizio erogato alla città” e pertanto “si ritiene necessaria una manovra di incremento tariffario, a partire dal 1 gennaio 2019, nell’ordine di 50 centesimi/€ sul biglietto ordinario e una conseguente armonizzazione degli abbonamenti”.
La strada sembrava dunque spianata, tuttavia Sala e soci avevano trascurato un particolare. La legislazione regionale sul trasporto pubblico non permette agli enti locali di aumentare le tariffe a proprio piacimento, ma aggancia il prezzo dei servizi a due elementi: il tasso di inflazione calcolato dall’ISTAT e la misurazione di alcuni elementi di qualità.
E infatti Regione Lombardia, il 10 luglio 2018, come ogni anno, fa i suoi calcoli e stabilisce che l’incremento massimo per il periodo 2015-2017 è pari all’1,1%. E dunque un aumento del biglietto del 33% (da 1,50 a 2 euro) è fuori discussione.
Intanto, è sempre la metropolitana 4 a togliere il sonno alla giunta comunale di Milano. Solo un mese prima, a metà giugno, il capo della Ragioneria e il segretario generale del Comune avevano scritto che «stante la natura dell’infrastruttura, la durata della concessione e le risorse proprie disponibili a oggi (…), gran parte degli importi a carico dell’Ente saranno oggetto di copertura con forme flessibili di indebitamento. (…) Occorre fin d’ora essere consapevoli che tali effetti di irrigidimento della struttura corrente del bilancio dell’Ente, potrebbero comportare, per gli esercizi futuri, la necessità per l’amministrazione di un rimodulazione del sistema delle spese e delle entrate correnti dell’Ente al fine di rendere sostenibile il proseguimento degli equilibri e degli obiettivi di finanza».
Alla ricerca di 50 milioni di euro
Lo stesso Corriere della Sera scrive: “Viene spontaneo pensare che il paventato aumento del biglietto Atm sia profondamente intrecciato al lievitare dei costi della 4”.
Ma, come abbiamo visto, l’incremento a due euro, indicato nella delibera comunale di fine 2017, non si può fare. Occorre, per Sala e soci, trovare un modo per aggirare il vincolo della legge regionale. La soluzione si chiama STIBM, sistema integrato tariffario del bacino di mobilità. Non si tratta più di una semplice revisione delle tariffe, ma di un ridisegno dell’intero sistema, con lo scopo, secondo la legge regionale, di avere un’unica famiglia di biglietti e abbonamenti che permetta di usare tutti i mezzi pubblici, compresi i treni. Se si approva questa nuova impalcatura, le tariffe possono essere definite anche oltre i limiti dell’aumento “ordinario”.
La competenza a definire lo STIBM non è però del Comune di Milano, ma dell’Agenzia del trasporto pubblico locale, consorzio che comprende anche la Città metropolitana e gli enti locali della Brianza, del Lodigiano e del Pavese. Il Presidente è Umberto Regalia, già Dirigente alle “infrastrutture di grande viabilità” di Regione Lombardia e poi direttore generale della controversa Autostrada Pedemontana Lombarda.
Lo “STIBM”
L’Agenzia, sotto la pressione del Comune di Milano, che vorrebbe introitare le maggiori somme già da gennaio di quest’anno, partorisce rapidamente la proposta di nuovo sistema tariffario, che si fonda su due principi: totale integrazione di tutti i mezzi di trasporto e riequilibrio delle tariffe tra città e provincia (oggi, appena si esce da Milano, i prezzi degli autobus crescono vertiginosamente). Entrambe sono cose positive per gli utenti, ma c’è un vincolo da rispettare: comunque lo si giri, il nuovo menù delle tariffe deve far incassare (almeno) 50 milioni di euro in più. Lo vogliono Sala e la sua giunta. Gli aspetti positivi del nuovo progetto si accompagnano quindi alla “stangata”: il biglietto a 2 euro invece che 1,50, il mensile urbano a 39 euro invece che 35, la soppressione dell’economico settimanale “due viaggi per sei giorni”.
Ed è qui che scende in campo la maggioranza di centrodestra che governa Regione Lombardia. L’occasione è ghiotta per mettere in difficoltà il Sindaco dell’opposto schieramento politico. Anche il presidente Fontana spulcia la legge regionale e trova il cavillo giusto: l’integrazione tariffaria del servizio ferroviario richiede l’intesa con Regione, che ha competenza sui treni. Contro il parere di Regione non si può fare.
L’intento è chiaramente strumentale, ma c’è anche un dato oggettivo: chi oggi utilizza solo il treno, senza aver bisogno di autobus e metropolitane per il proprio pendolarismo, sarà fortemente penalizzato dal nuovo sistema tariffario. Per fare un esempio, da Lissone a Milano l’abbonamento mensile di Trenord costa oggi 46,50 euro. Con il titolo integrato, il costo salirà a 70 euro.
Verrebbe da dire, in ogni caso, che tra i due contendenti il più pulito ha la rogna. Non è credibile, come difensore dei pendolari, Regione Lombardia, che negli scorsi anni ha investito somme enormi in opere viabilistiche fallimentari, come la Bre.be.mi. Ma non lo è neppure il Comune di Milano, che si è indebitato fino al collo per realizzare le metropolitane 4 e 5, con contratti molto favorevoli alle banche erogatrici dei prestiti ai general contractor, e che ora pretenderebbe di salvarsi con l’aumento dei biglietti.
Breve conclusione
Solo un paio di considerazioni finali.
La complessità degli argomenti che sono stati più o meno strumentalmente messi in campo non deve oscurare il dato di fatto fondamentale. Il nuovo STIBM, come concezione, potrebbe portare dei vantaggi a chi usa i mezzi pubblici, ma i livelli tariffari che si vogliono approvare porterebbero a un maggiore incasso complessivo pari circa al 14% di quello attuale. Una volta fatta dunque “la media del pollo” tra chi ci guadagna e chi ci perde, tra i pendolari, è indiscutibile che si tratta di un aumento delle tariffe e non di un semplice riequilibrio tra hinterland e periferia.
Maggiore è la percentuale dei costi di un servizio pubblico coperta dalla tariffa, anziché dalla fiscalità generale, e maggiore è la sua iniquità. Il trasporto pubblico locale dovrebbe essere gratuito, interamente coperto da contributi pubblici, nell’ambito di un sistema fiscale con un’imposta fortemente progressiva sul reddito e sul patrimonio e, all’opposto della flat tax, con l’aumento degli scaglioni delle aliquote IRPEF (per approfondimenti su questo punto rimandiamo al paragrafo IX del nostro manifesto programmatico).
Opporsi dunque all’aumento delle tariffe del trasporto pubblico che si sta delineando a Milano è l’unica posizione coerente per la sinistra di classe. Tutto il resto è voluta confusione o riformismo senza riforme.
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