di Giorgio Simoni

Come ampiamente annunciato, l’aumento delle tariffe del trasporto pubblico milanese ci sarà. E non sarà poca cosa. Il biglietto singolo passerà da 1,50 a 2 euro (+33%), il carnet da dieci corse da 13,80 a 18 euro (+30,4%), il titolo giornaliero da 4,50 a 7 euro (+55,6%). Soppresso il titolo “2×6” (due viaggi per sei giorni): chi lo utilizzava dovrà ripiegare sull’abbonamento settimanale, che nel frattempo aumenterà da 11,30 a 17 euro. Rincaro anche per il mensile: da 35 a 39 euro.

Ma il senso dell’operazione è ancora più chiaro se si guarda l’evoluzione delle tariffe nell’arco degli ultimi dieci anni. Nel 2008 il biglietto singolo costava 1 euro: in dieci anni il prezzo è raddoppiato; idem per il carnet da dieci corse, che allora valeva 9,20 euro; peggio ancora per il giornaliero, che dieci anni fa si vendeva 3 euro e ora ne costerà 7. Stesso discorso per gli abbonamenti: il prezzo del settimanale era, nel 2008, di 9 euro e quindi rincara dell’88,9%; il mensile costerà il 30% in più (da 30 a 39 euro).

Tutto questo, a fronte di un tasso d’inflazione, nel medesimo decennio, pari al 12,3%. Le tariffe di un servizio fondamentale come il trasporto pubblico aumentano ben oltre l’incremento generale del costo della vita, quando, semmai, dovrebbero svolgere il ruolo opposto di calmieratore.

Dagli utenti 51 milioni di euro in più

Si dirà: ma alcune tariffe non mutano (il costo dell’abbonamento annuale) e alcune addirittura regrediscono lievemente (le tariffe interurbane). Questo è positivo, ma non cambia il segno generale del provvedimento, che dovrà portare nelle casse del Comune di Milano 51 milioni di euro in più. Poiché gli introiti del sistema tariffario sono oggi pari a 393 milioni, ciò significa che, al di là di chi ci guadagna e chi ci perde e della giungla di agevolazioni, siamo di fronte, solo con questa manovra, a un’incremento delle tariffe netto pari al 13%. Detto in altro modo, l’Amministrazione Sala ha deciso di spendere 51 milioni in meno per il trasporto pubblico e di farli pagare agli utenti.

Anche in questo caso, una prospettiva storica aiuta: nel 2004, gli introiti da tariffa erano pari a 257 milioni di euro (1). Poiché l’obiettivo del sindaco Sala e dell’assessore Granelli, come abbiamo visto, è di arrivare a un incasso di 393+51=444 milioni di euro, abbiamo un incremento del prelievo sugli utenti, in quindici anni, del 72,8%, a fronte di un tasso d’inflazione nel medesimo periodo pari al 22,8% e di un aumento del numero di passeggeri del 24,9% (737 milioni del 2017 contro 590 milioni nel 2004). Considerando entrambi i fattori, gli incassi sarebbero dovuti aumentare al massimo del 53,5%: le tariffe del trasporto pubblico milanese, al netto del maggior numero di viaggiatori, in 15 anni crescono di quasi 20 punti percentuali in più rispetto al costo della vita.

Un salasso che nemmeno si spiega con gli investimenti. Se è vero che la rete metropolitana si è ampliata, l’età media degli autobus circolanti a Milano era di 4,5 anni al 31 dicembre 2004 (2) e di 9,7 anni al 31 dicembre 2017. Insomma, quello che si è speso da una parte, lo si è tagliato dall’altra.

In realtà, fuori dai tecnicismi, tutto ciò ha un significato profondamente politico. Aumentare la quota di costo del servizio che viene pagata dall’utente e diminuire quella a carico delle risorse pubbliche, cioè della fiscalità generale, non ha proprio nulla di virtuoso, a differenza di quanto sostengono i teorici neoliberisti da trent’anni a questa parte. Significa aumentare la tassazione indiretta (non rapportata al reddito e al patrimonio) a scapito di quella diretta (legata a reddito e patrimonio: i ricchi pagano di più dei poveri).

Una flat tax alla milanese

Incrementare le tariffe dei servizi pubblici ha esattamente lo stesso effetto che avrebbe l’aumento dell’IVA o l’introduzione della “flat tax” di Salvini: aumentare l’iniquità, distruggendo la progressività del sistema fiscale. In questo, dunque, non riusciamo a vedere quale sarebbe la differenza tra la giunta di “centrosinistra” che governa Milano e le proposte politiche dell’attuale governo infame.

Non disperiamo che esista ancora una sinistra, seppur minoritaria, in grado di riprendere i concetti fondamentali della sua stessa essenza. Tra cui, appunto, il concetto di equità fiscale e di progressività delle imposte: far pagare alla borghesia e non ai lavoratori e alle lavoratrici il costo dei servizi pubblici e della spesa sociale. Occorre, semplicemente, la capacità di non farsi accecare dal colore della casacca che indossa il funzionario del Capitale che ci sta di fronte, che può essere, di volta in volta, arancione, azzurra, o giallo-verde. Ma non è mai rossa.

Con tutti coloro che lo vorranno, Sinistra anticapitalista farà un percorso unitario per costruire una campagna politica contro l’aumento delle tariffe del trasporto pubblico a Milano, per ottenere il ritiro di questi provvedimenti e per andare, invece, nella direzione opposta: quella della gratuità.

Foto di Emanuele Toscano

(1) Atm, Bilancio di sostenibilità 2004

(2) ibidem

(3) Atm, Bilancio consolidato 2017

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