di Giorgio Simoni
Il bilancio del grave incidente ferroviario avvenuto a Pioltello, nei pressi di Milano, parla di tre vittime, tutte donne (Pierangela Tadini, 51 anni; Giuseppina Pirri, 39 e Ida Maddalena Milanesi, 61), di 12 feriti in codice rosso, 10 in codice giallo e di altre 100 persone ricoverate in condizioni meno serie o medicate sul posto.
Persone che per i propri spostamenti quotidiani, come quelli tra casa e lavoro, utilizzavano il treno, un mezzo di minor impatto ambientale rispetto all’automobile e intrinsecamente più sicuro, a patto che il sistema sia correttamente manutenuto, gestito e aggiornato tecnologicamente.
Oggi dobbiamo invece piangere tre morti assurde, come una settimana fa abbiamo dovuto piangere la morte sul lavoro di quattro operai in una fossa riempita di gas argon, in una fabbrica di titanio a Milano.
Il tragico incidente di Pioltello
Le immagini dell’incidente sono agghiaccianti: la terza carrozza del convoglio, che procedeva con locomotiva in spinta, è uscita dai binari è si è accartocciata contro un palo della linea elettrica, mentre le prime due vetture hanno proseguito la loro corsa. Diverse testimonianze hanno riferito di un forte tremore del treno, percepito dai passeggeri già alcuni minuti prima del disastro.
Il convoglio era partito da Cremona alle 5,32, ed era diretto a Milano Porta Garibaldi.
Già due ore dopo il disastro, l’Assessore regionale lombardo alle Infrastrutture ha dichiarato di escludere problemi al materiale rotabile e ne ha approfittato per fare campagna elettorale ricordando gli «ingenti investimenti di questa giunta sul rinnovo del materiale rotabile».
Treni vecchi…
Peccato però che al termine degli investimenti in atto resteranno in servizio ancora 154 treni con oltre 35 anni di vita, secondo quanto ammette la stessa Trenord, la Srl costituita da Trenitalia e da Ferrovie Nord per gestire il trasporto ferroviario in Lombardia. Normalmente, la vita utile dei rotabili ferroviari è considerata pari a 30 anni.
Lo stesso convoglio coinvolto nell’incidente era composto da carrozze MDVC (medie distanze vestiboli centrali), costruite negli anni Ottanta dello scorso secolo, mentre la semipilota apparteneva al gruppo delle «vicinali a piano ribassato», risalente addirittura al decennio precedente.
… e binari senza manutenzione
Solo l’inchiesta della magistratura e quella delle Direzione generale per le investigazioni ferroviarie e marittime del Ministero potranno chiarire le cause ultime dell’incidente.
I mass-media hanno comunque dato risalto alla foto di un giunto di rotaia, nel quale, da uno dei due lati, mancavano circa 20 cm di fungo (ovvero il piano di rotolamento della rotaia stessa). Secondo una delle ipotesi sulla dinamica, sarebbe stata questa rotaia spezzata a causare lo svio di un carrello della terza carrozza del treno, il quale avrebbe percorso in questa condizione circa due chilometri e mezzo, prima del tragico deragliamento della terza carrozza.
Se ciò risultasse vero, ad essere chiamato in causa sarebbe lo stato di manutenzione della infrastruttura, gestita da Rete ferroviaria italiana. E’ bene sapere, infatti, che sono soggetti distinti a gestire i binari e a far circolare i treni.
Il liberismo applicato alla ferrovia
A partire dagli Anni novanta, infatti, il dogma liberista, veicolato dalla Comunità economica europea colpisce anche il settore delle ferrovie.
La Direttiva europea n. 440 del 1991 afferma che «il futuro sviluppo ed un’efficiente gestione della rete ferroviaria possono essere facilitati mediante una distinzione fra l’esercizio dei servizi di trasporto e la gestione dell’infrastruttura», tutto ciò «per stimolare la concorrenza nell’ambito dell’esercizio dei servizi di trasporto».
L’Italia prontamente si adegua: la legge 359 del 1992 (Governo Amato I, ministro dei trasporti il democristiano Giancarlo Tesini), impone la trasformazione dell’Ente Ferrovie dello Stato in Ferrovie dello Stato Società per Azioni, con due diverse aree destinate a occuparsi di «rete» e di «trasporto».
Il 1° luglio del 2001 (Governo Berlusconi II, Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Pietro Lunardi) la quarta Divisione (Infrastruttura) diventa Rete Ferroviaria Italiana (RFI), società «chiamata a gestire la circolazione dei treni e le infrastrutture ferroviarie».
TAV ed esternalizzazioni, chi specula sulla ferrovia?
Sempre negli anni Novanta, esattamente il 19 luglio 1991, nasce la società Treno ad Alta Velocità – TAV S.p.A. Prende corpo quel progetto di sviluppo dell’alta velocità ferroviaria in Italia che tanti danni ha portato in termini di distruzione dell’ambiente, di corruzione nella realizzazione delle opere, e soprattutto di contrazione degli investimenti e delle risorse destinate alla rete «ordinaria» (per una breve storia critica, corredata da bibliografia, rimandiamo a questo articolo).
Ma il dogma liberista e l’ossessiva ricerca della diminuzione dei costi ha portato anche alla sempre crescente esternalizzazione delle attività di manutenzione dell’infrastruttura ferroviaria, come denuncia, ad esempio, il sindacato Orsa.
Difficile pensare che tutto questo non abbia conseguenze sulla qualità degli interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle ferrovie (e se avete dei dubbi, guardate o riguardate un’altra volta lo splendido film «Paul, Mick e gli altri» di Ken Loach).
La ferrovia torni ad essere del popolo
Un’inversione di tendenza sarebbe possibile solo con un cambio assoluto di priorità. La politica nazionale dei trasporti non deve dipendere dagli interessi delle grandi imprese di costruzione, vere beneficiarie dei progetti del TAV, e lo scopo di un servizio pubblico non deve essere quello di generare profitti.
A questo allude il programma di Potere al popolo, la lista che Sinistra anticapitalista ha contribuito a costruire e sostiene alle prossime elezioni politiche, quando afferma di lottare per «lo stop alle cd. “Grandi Opere”, a partire dalla TAV» e per «un piano di investimenti per la mobilità sostenibile e il trasporto pubblico (dalle ferrovie al trasporto urbano) fondato sui reali bisogni delle classi popolari e sul rispetto dell’ambiente».
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