di Igor Zecchini
Era arrivato in Italia dopo il solito viaggio della disperazione e della paura Moussa Balde, ventitre anni dalla Guinea. Il viaggio attraverso l’Africa, poi l’Algeria e infine la Libia dove prese “il barcone” per affrontare il mare. Dopo un anno l’arrivo ad Imperia e la speranza di poter avere una vita migliore. La stessa storia di migliaia di persone uomini, donne, bambini.
Ma le speranze di Moussa sono state distrutte, assieme alla sua vita, dal razzismo e dal cinismo oramai consolidato in gran parte della nostra società e soprattutto nelle istituzioni.
Tutti e tutte abbiamo potuto vedere le immagini del pestaggio, crudele e teso all’assassinio, a cui è stato sottoposto da alcuni razzisti di Ventimiglia nei primi giorni di maggio. Dopo quel pestaggio i suoi aggressori sono rimasti a piede libero, lui invece ricoverato in ospedale ma poi trasferito in isolamento nel CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) di Torino. Ha chiesto lungamente un aiuto che non è arrivato, non ha retto e si è suicidato.
E’ il trentesimo morto dall’istituzione di questi centri di detenzione amministrativa voluti dalla legge Turco-Napolitano del 1998 e che sono poi stati utilizzati in tutte le successive normative sull’immigrazione. Luoghi senza legge, senza diritto alcuno per chi vi è trattenuto, luoghi in cui il tempo si è fermato al medio evo.
Oggi, grazie all’instancabile opera della ministra Lamorgese, assistiamo ad un rilancio dei CPR funzionale non tanto al trattenimento di lungo periodo come era in precedenza, ma a essere strumenti di espulsione rapida degli immigrati che vi transitano, in particolare di quelli di origine tunisina.
Infatti, al di là delle chiacchiere sull’accoglienza condivisa dall’Europa in realtà il destino di immigrati e profughi è segnato dagli accordi che vengono presi con i paesi del Mediterraneo, molto spesso accordi bilaterali, a volte accordi europei (come nel caso della Turchia). Soldi in cambio di repressione e trattamenti disumani per profughi e profughe.
Mentre le grida di Moussa agitavano il CPR di Torino, Oscar Camps, fondatore della ong Open Arms che effettua salvataggi in mare ha deciso di pubblicare le foto di cadaveri di donne e bambini abbandonati sulla spiaggia di Zuwara, in Libia, uno dei punti di partenza delle traversate nel Mediterraneo. Immagini di un orrore indicibile e che comunicano più di mille parole.
Queste morti sono il risultato dei naufragi che avvengono in continuazione, spesso nell’assoluto silenzio, nel Mediterraneo diventato oramai un cimitero. Le barche che partono da Libia e Tunisia rappresentano una specie di roulette russa per migliaia di persone che cercano un rifugio in Europa e nel nostro paese.
Così tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni, di qualsiasi colore fossero, hanno gestito nello stesso modo le politiche rivolte all’immigrazione: chiusura delle frontiere, permesso di soggiorno concesso solo in corrispondenza ad avere un lavoro, impossibilità sostanziale quindi di poter ottenere i documenti regolari, rifiuto del riconoscimento dello ius soli, respingimenti alle frontiere ed espulsioni come soluzione unica per le presenze “non desiderate”.
Gli accordi bilaterali citati sopra sono poi la ciliegina sulla torta: in cambio di “aiuti economici” ci si accorda anche con regimi criminali (come nel caso della Libia) pur di garantirsi che ci sia un filtro (lontano dal nostro territorio) che impedisca alla massa dei profughi di arrivare in Italia. I soldi del bilancio statale destinati alla Cooperazione economica, diventano quindi fonte di morte e disperazione. E’ di pochi giorni fa la visita del ministro Di Maio alla Libia dove ha dichiarato che: “E’ molto importante passare da una logica incentrata esclusivamente sul controllo della frontiera marittima ad una strategia più ampia che includa la capacità di controllo degli ingressi irregolari dalla frontiera sud.”. Prepariamoci alle stragi anche a terra in Libia…
In questo quadro i CPR, la struttura in cui è stato rinchiuso Moussa, fanno parte di un progetto oramai ben definito: allargamento dei confini effettivi utilizzando la disponibilità di altri paesi a fare da frontiera, respingimenti in mare e in terra (rotta balcanica), utilizzo dei CPR come “ porta girevole” per gli immigrati clandestini non lasciando così il tempo per esercitare il diritto a cercare di restare attraverso le procedure di asilo politico o altro.
Contro questo progetto, con grande fatica, si stanno attivando reti e associazioni che fanno della battaglia contro il razzismo il centro della loro attività. E’ un tessuto debole che non è ancora riuscito a trovare una cornice nazionale per muoversi ma che esiste e produce anche iniziative utili. Il 24 aprile scorso in diverse città sede di CPR , si sono tenuti presidi in contemponea (segnaliamo quello della rete Mai più lager – no cpr di Milano che sicuramente è stato il più partecipato) e un coordinamento nazionale si sta formando. Mobilitazioni si stanno anche producendo proprio a seguito della morte di Moussa di cui la prossima il 4 giugno a Torino .
Contemporaneamente si sta organizzando una rete nazionale di svariate associazioni che rivendicano la velocizzazione delle procedure relative all’ultima sanatoria per i permessi di soggiorno emanata lo scorso anno. Non possiamo più aspettare, questo il nome della rete, rivendica anche una riapertura dei termini della sanatoria in moodo da dare a centinaia di migliaia di immigrati senza permesso la possibilità di regolarizzarsi.
A questi occorre naturalmente aggiungere le organizzazioni che si muovono per l’apertura dei porti e in soccorso dei migranti nel Mediterraneo e contro le persecuzioni che avvengono nei confronti dei profughi che cercano di arrivare in Italia dalla rotta balcanica.
Insomma un tessuto variegato che, trovando una capacità di azione comune, potrebbe costruire il livello di mobilitazione necessario per invertire la rotta (a partire dalla chiusura dei CPR). Sinistra Anticapitalista, impegnata su questi fronti, lavorerà in modo determinato perché avvenga questa convergenza.
Video intervista a Moussa:
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