di Fabrizio Burattini
Giusto un anno fa (l’11 marzo 2020) l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiarava la pandemia globale del COVID-19. Il suo direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus lo faceva a fronte di 118.000 casi segnalati in 14 paesi del mondo e di 4.291 morti. “L’OMS ha valutato questo focolaio 24 ore su 24”, diceva, “e siamo profondamente preoccupati sia dai livelli allarmanti di diffusione e gravità, sia dai livelli allarmanti di inazione”. E faceva appello ai “paesi a intraprendere un’azione urgente e aggressiva”. Con poche eccezioni, di cui la Cina è stata la più evidente, i governi dei maggiori paesi capitalisti hanno del tutto sottovalutato gli avvertimenti degli scienziati. I segnali di allarme sono rimasti inascoltati.
Oggi, a distanza di 12 mesi, il numero di casi globali si è moltiplicato per 1.000, passando dai 118.000 di allora ai 118.650.470 di oggi. Il numero di morti è passato da 4.000 a 2.631.694, di cui 530.821 negli USA, 272.889 in Brasile, 193.152 in Messico, 158.306 in India, 125.403 nel Regno Unito e 101.184 in Italia.
Il prezzo pagato anche solo sul piano economico dalla classe lavoratrice è devastante. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) stima che nel mondo si sono perse ore di lavoro pari a 255 milioni di posti di lavoro nel 2020, quattro volte quello che era stato l’impatto della crisi finanziaria globale del 2007-2009. Innumerevoli piccole imprese sono state spazzate via. La vita culturale è stata annientata in tutto il mondo.
Nessuno dei tanti leader del mondo ha fatto un serio esame del perché questa catastrofe sia avvenuta e perché stia continuando. Tutti parlano a vanvera del prossimo ritorno alla “normalità”.
Non torneremo alla « normalità »
Non ci sarà, tuttavia, alcun ritorno alla “normalità”. L’unica sincera lettura possibile della pandemia COVID-19 non può che partire da un’accusa severa e decisa non solo delle azioni dei vari governi, ma dell’intero ordine sociale ed economico basato sul capitalismo.
Il disastroso impatto della pandemia è il prodotto della scelta di subordinare la vita umana agli interessi delle oligarchie economiche e finanziarie. Le misure urgenti di salute pubblica che sarebbero state necessarie per salvare tantissime vite umane hanno incontrato in ogni momento la feroce opposizione delle élite capitaliste dominanti.
Il primo periodo critico di gennaio-marzo 2020 è stato segnato dalla sottovalutazione e, in molti casi, anche dalla soppressione sistematica delle informazioni sui pericoli che la pandemia rappresentava. Solo dopo che nel marzo un numero crescente di lavoratrici e di lavoratori, in Italia, ma anche in altri paesi d’Europa e del mondo, si sono rifiutati di entrare in fabbriche non sicure e in altri luoghi di lavoro, sono state attuate prime chiusure, ma molto limitate.
E non c’è stato nessun coordinamento internazionale delle misure. Le risposte sono rimaste nazionali o addirittura locali, tutte scoordinate. La principale preoccupazione delle grandi organizzazioni economiche internazionali è stata quella di attuare, per la seconda volta dal 2008, una massiccia politica di salvataggio dei ricchi. Negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha immesso 4.000 miliardi dollari nei mercati, l’Unione europea ha sospeso il “patto di stabilità”, Mario Draghi, proprio il 26 marzo 2020, appena finito il suo mandato di presidente della Banca centrale della UE, metteva in guardia nel suo famoso articolo sul Financial Times dall’eccesso di “debito cattivo” (quello dei sussidi) da quello “buono” (gli investimenti a favore delle aziende). Misure in questa direzione sono state adottate dalle banche centrali di tutto il mondo.
« Riaprire tutto! »
Una volta assicurati gli interessi della classe dirigente, i governi hanno lanciato una campagna per riaprire tutto. La strategia della “immunità di gregge”, sperimentata in Svezia, è diventata, esplicitamente o tacitamente, in misura diversa, la politica di tutte le classi dominanti. Con lo slogan “la cura non può essere peggiore del male”, o con quello “occorre convivere con il virus”, le misure potenzialmente più efficaci per fermare la diffusione del Covid-19 sono state sistematicamente espunte dalle ipotesi in campo.
Mentre milioni di persone contraevano il virus, mentre a decine di migliaia morivano, i mercati finanziari celebravano il più rapido aumento dei valori azionari della storia. Basta una cifra per sintetizzare la dinamica sociale: nei 12 mesi di pandemia, i miliardari americani hanno aumentato la loro ricchezza di 1.400 miliardi di dollari. Un nuovo strato di “pescecani della pandemia” ha prosperato in mezzo alla morte e alla sofferenza.
Un anno dopo la dichiarazione ufficiale di pandemia, il COVID-19 continua a imperversare in tutto il mondo. Oggi ci sono i vaccini, ma la loro distribuzione caotica, ostacolata dagli interessi delle multinazionali del farmaco e dalla competizione tra gli stati nazionali, diventa essa stessa un fattore di crisi. Solo il 4% della popolazione mondiale ha ricevuto anche solo una prima dose del vaccino, e persino in molti paesi sviluppati la percentuale della popolazione che è stata completamente vaccinata rimane a una sola cifra.
Nella stessa Germania, il presunto modello di efficienza capitalista, solo il 3,1% della popolazione è stata completamente vaccinata, in Spagna e Francia il 3,0%, in Italia il 2,9% e in Canada l’1,6%.
Verso la terza ondata
Nonostante le avvisaglie di una nuova “terza” ondata, causata da varianti più contagiose, i governi di tutto il mondo non stanno adottando nessuna seria misura per contenere la pandemia.
Anche al di là dei devastanti effetti di ulteriore disuguaglianza sociale che si sono prodotti o che sono enormemente cresciuti in questi 12 mesi, non si devono trascurare ciò che si è prodotto sul piano politico. In Italia, con la nomina di Mario Draghi alla presidenza del consiglio e con la formazione del governo di unità nazionale da lui guidato, si è accentuato il decadimento della vita democratica del paese. A livello planetario sta crescendo un nuovo fascismo, fatto di negazionismo, razzismo, suprematismo, sessismo, sciovinismo di cui l’insurrezione del 6 gennaio a Washington è stata solo la punta dell’iceberg.
La crisi del consenso politico attorno ai partiti che ruotano attorno alle classi dominanti spinge anche in direzione di nuovi pericoli per la pace mondiale. L’indurimento nelle relazioni internazionali è lo strumento storicamente più utilizzato per scaricare nel nazionalismo le tensioni di classe. Lo vediamo nel rilancio dell’ “atlantismo”, peraltro proprio nel momento in cui la nuova amministrazione “democratica” USA di Joe Biden rilancia le provocazioni aggressive contro l’Iran, contro la Russia e la Cina.
Tutte le istituzioni della società capitalista sono coinvolte. I governi capitalisti, quale che sia il loro colore politico, hanno adottato sostanzialmente la stessa politica. Ovunque i sindacati corporativisti, nonostante il disastro vissuto dalle classi che dovrebbero rappresentare, si stringono ad appoggiare la politica dei governi e fanno tutto il possibile per non far apparire un’opposizione alla politica delle classi dominanti.
Combattere il capitalismo per combattere il virus
La lotta contro la pandemia non è mai stata solo una questione medica. Il contenimento della pandemia non può essere raggiunto senza una lotta contro il sistema capitalista.
La disastrosa pandemia preannuncia ulteriori e ancora più profonde crisi: cambiamento climatico, disastro sociale, pandemie ancora peggiori e più letali, minacce di guerra, tutte legate alle stesse cause fondamentali del fallimento della politica borghese nel contenimento della pandemia.
La pandemia dimostra la necessità dell’abolizione del sistema capitalista e dello stato-nazione. Mostra che la difesa degli interessi più vitali della società è inseparabile dall’espropriazione dell’oligarchia finanziaria e dalla fine della proprietà privata dei mezzi di produzione. Rende chiara e urgente la necessità di un’economia mondiale gestita attorno alle vere urgenze sociali, organizzata razionalmente e controllata democraticamente.
La lotta per il socialismo è una lotta globale per una società che dia priorità alla vita sul profitto, ai bisogni umani sulla ricchezza delle élite e alla collaborazione internazionale sul conflitto tra nazioni.
I bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori di tutto il mondo devono avere la priorità assoluta e incondizionata su tutte le considerazioni relative ai profitti aziendali e all’accumulo delle ricchezze private. Per questo sono necessarie misure di emergenza, è indispensabile una mobilitazione coordinata a livello internazionale delle risorse sociali e la chiusura di ogni produzione non essenziale, con un reddito pieno per tutti i lavoratori.
Se queste politiche fossero state attuate, innumerevoli vite avrebbero potuto essere salvate. Se fossero adottate adesso se ne salverebbero altrettante.
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