di Gabriele Stilli
Forse ciò che più ha lasciato il segno è stato vedere, tra il piccolo gruppo di attivisti che si è radunanto in via Bassini il 2 gennaio, diverse persone piangere. Alcune urlavano alla celere in tenuta antisommossa a difendere la devastazione, altre guardavano attonite e impotenti i tronchi cadere. Altri ancora sono a casa, perché non riuscivano più a sopportare lo scempio.
È una piccola cosa, Parco Bassini. Era, una piccola cosa. Tanto rumore per qualche albero, si potrebbe dire. I veri problemi sono altri. Ma allora perché quelle lacrime, perché le assemblee, i volantinaggi, i presidi con cui gli attivisti da più di un mese bloccavano i lavori? Perché, adesso, continuare ancora, anche con gli alberi abbattuti?
Perché Parco Bassini era una cosa piccola, ma poi non così tanto piccola.
Lo spostamento del polo di chimica
Ripercorriamo la storia dall’inizio. Circa due mesi fa viene resa pubblica la decisione del Politecnico di spostare il polo di Chimica, attualmente situato in via Mancinelli. Il nuovo edificio sarà collocato nei pressi di via Bassini, sopra un’area verde con più di sessanta alberi, alcuni di questi centenari.
Nei giorni seguenti
un gruppo di professori, dottorandi e ricercatori, coordinati dalla
Professoressa Arianna Azzellino, scrive una petizione, che ha
raggiunto più di 7.000 firme, di cui 200 di professori e ricercatori
del Politecnico. Da quel momento si crea un comitato, che fin da
subito blocca i lavori del cantiere e chiede al Comune di Milano di
intervenire.
La risposta dell’attuale maggioranza è stata
ambivalente: da un lato si è mostrata favorevole alla convocazione
di una commissione, e Carlo Monguzzi, consigliere del gruppo Partito
Democratico – Beppe Sala Sindaco ha mostrato interesse nel
dialogare con il comitato; dall’altro, nella figura dell’assessore
all’Urbanistica PierFrancesco Maran, si è mostrata fin da subito
in netto contrasto con le richieste del comitato.
Commissione Ambiente: promesse non mantenute
Il 6 dicembre si svolge la commissione ambiente, a cui partecipano, come esterni, l’assessore Maran e il Rettore del Politecnico Ferruccio Resta. La commissione evidenzia una generale contrarietà nei confronti dell’abbattimento degli alberi, ma non mette in discussione il progetto, propendendo per uno spostamento degli alberi in questione:
«Il Rettore del Politecnico di Milano e l’Assessore Maran hanno illustrato il progetto di ampliamento delle strutture facenti capo all’Ateneo di via Bassini ed il conseguente abbattimento di alcuni alberi situati all’interno del parco Bassini. I numerosi interventi che si sono succeduti hanno evidenziato la propria contrarietà riguardo a quest’ultimo intendimento. Si è giunti alla condivisione circa l’istituzione di un tavolo di confronto finalizzato alla revisione del progetto ed alla salvaguardia delle piante, originariamente da estirpare, con il proposito dichiarato di trapiantarle in alcune aree limitrofe».
Il comitato Salviamo Parco Bassini rifiuta la proposta di uno spostamento degli alberi, perché è un’operazione che li condannerebbe a morte sicura, ma accetta la formazione di un tavolo di confronto con degli esperti che valuteranno la fattibilità di questa proposta.
Il tavolo di confronto non verrà però mai attuato, e nel frattempo il Rettore non sospende i lavori. Inizia così un mese di presidi, con l’occupazione, martedì 14 dicembre, del cantiere. Un mese che si è concluso la mattina del 2 Gennaio, con uno spiegamento di forze di polizia inaudito: 5 camionette della celere e decine di agenti della Digos. Gli attivisti, di fronte a uno spiegamento di forze tale, non hanno potuto far altro che cedere, e permettere l’entrata dei lavoratori nel cantiere. Ufficialmente avrebbero dovuto procedere di potatura preliminare per il trasferimento degli alberi. Invece, sotto gli occhi impotenti degli attivisti, gli alberi sono stati abbattuti.
Cercare mediazioni non paga: la Giunta è complice!
Il collettivo Controtempi, in cui militano compagni della nostra organizzazione, ha seguito l’azione del comitato fin dall’inizio, dando il suo appoggio ai presidi, all’occupazione del cantiere e volantinando nel quartiere. Nonostante il comitato abbia dato una notevole prova di forza nel tenere in scacco il Politecnico per più di un mese, dobbiamo rilevare che ha avuto un atteggiamento troppo fiducioso nei confronti dell’attuale Amministrazione e nell’opzione di una mediazione istituzionale.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nessuna promessa mantenuta, e troppa poca forza da parte del comitato per opporre anche solo una blanda resistenza passiva. I presidi sono andati avanti fintantoché l’ordine costituito ha permesso che si facessero. Nel momento in cui l’attività del comitato si è rivelata un po’ troppo problematica, si è deciso di procedere nel modo più drastico e veloce, esattamente come è avvenuto, diversi anni fa per il bosco di Gioia.
L’Amministrazione non ha adempiuto alle sue (peraltro insufficienti) promesse; non ha tenuto in considerazione le opzioni alternative proposte dal comitato e si è trincerata dietro l’autonomia di azione del Politecnico, come se il controllo sul territorio, anche di aree non di diretta proprietà comunale, non le spettasse. A questo gioco di ruolo, in cui da una parte si mostra dialogo e dall’altra si invia la celere, il comitato è stato, purtroppo, impotente.
Il modello Dubai
La cementificazione del Parco Bassini non è un incidente di passaggio, un neo, che basterebbe asportare per rimettere la situazione a posto: al contrario, è un simbolo di una situazione globale, strutturale, radicata in modo profondo nella nostra società.
«Change the system, not the
climate» dice Fridays For Future. Cambia il sistema. E il sistema si
incarna nelle politiche della cementificazione, in quanto sono le più
semplici, le più redditizie e le più funzionali. Politiche di
cementificazione che sono estremamente presenti in tutte le
amministrazioni locali, perché gli oneri di urbanizzazione sono la
principale fonte di sostentamento dei Comuni. Anche in una situazione
economica depressa come quella attuale.
Da sempre la
pianificazione urbanistica delle città si attua aggredendo le aree
verdi, considerate non funzionali, non produttive. Non è un caso se,
da sempre, le aree non edificate non sono segnate sulle mappe: sono
spazi bianchi; è «nulla». Perché sono aree non strategiche, non
funzionali alla circolazione di denaro. Sono aree morte.
Il Piano di Governo del Territorio di Milano è un esempio paradigmatico: non c’è un’area improduttiva che non venga ridisegnata e messa al servizio delle logiche capitalistiche. L’area di Piazza d’Armi, gli scali ferroviari, l’ex Paolo Pini, l’area verde di Piazza Baiamonti, persino le rotonde, come quella di Piazzale Loreto, vengono ridisegnate (eufemismo per cementificate) in modo da creare opportunità per le grandi imprenditorie.
Anche in una fase di depressione, in cui vi è una quantità gigantesca di palazzi vuoti, inutilizzati, di edifici anche nuovi e invenduti, l’imperativo è perseverare nello stesso solco. Non è nemmeno importante se tutti gli edifici verranno effettivamente utilizzati: l’importante è che vengano costruiti, in modo che i costruttori possano avere garanzie presso le banche e così accedere a nuovi prestiti per finanziare nuove costruzioni, attirando così nuovi investitori. È il modello Dubai: il modello in cui tutta la città viene disegnata sulla base degli interessi di pochissimi, a scapito delle effettive esigenze dei cittadini.
Ampliare lo sguardo
La storia di Parco Bassini, per quanto non legata alla pianificazione urbanistica dell’Amministrazione, è frutto delle stesse logiche, delle stesse scelte. Sono due visioni del mondo diametralmente opposte: o la città al servizio dei suoi abitanti, o la città al servizio dei padroni. Non c’è una via di mezzo. La via di mezzo è sempre un’illusione, è sempre un modo per confondere le acque, per far finta che tutto vada bene, che i nei si possano asportare e tutto tornerà bello e pulito come prima.
L’abbiamo visto: non è così. In realtà da una parte ci siamo noi, dall’altra gli interessi economici delle classi dominanti, le decisioni irrevocabili. Lo sbocco naturale di questa lotta è ampliare lo sguardo, alzare gli obiettivi, coinvolgere la popolazione. Unire le forze con gli altri comitati. Continuare sempre di più e sempre più forte, rischiando anche di perdere le voci più pavide, per acquistare invece chi vuole lottare con coraggio, con determinazione, senza farsi strumentalizzare dalla retorica finto-ambientalista dei più.
L’ecologismo si realizza nei fatti e non nelle parole.
È per questo che la storia di Parco Bassini è piccola, ma importante. Perché mette a nudo come nulla possa sfuggire a questo modo di produzione. Come tutto debba essere per forza piegato alle sue logiche, e nulla vi si possa mettere contro.
Giovedì 9 alle 17,30 si muoverà proprio dal parco Bassini una prima manifestazione promossa dal Comitato Bassini e da diversi altri collettivi (tra cui Controtempi). La manifestazione si chiuderà in Piazza Scala dove, a Palazzo Marino, si svolge la riunione del consiglio comunale. Ci saremo e faremo sentire la nostra rabbia.
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