di Igor Zecchini

Venerdì 26 luglio, con voto quasi unanime, il consiglio comunale di Milano ha approvato il cosiddetto “Daspo Urbano”, su proposta della giunta e del sindaco Sala. A favore anche il centro destra, M5S compreso; contrari solo l’opposizione di “Milano in Comune” di Basilio Rizzo e “Milano Progressista”, interna invece alla maggioranza.

L’idea è che la città diventi off limits ad alcune categorie di persone “sgradevoli”, ovvero quelle più disagiate e povere: Rom, barboni, venditori “molesti”, posteggiatori abusivi, mendicanti e chi più ne ha più ne metta. Il provvedimento, odioso, razzista e classista, ha in realtà ragioni più profonde e va collocato all’interno di un progetto ampio e complesso. O meglio, di due progetti.

UNA CITTA’ PER IL PROFITTO

Il primo è il ridisegno della città che la giunta Sala sta costruendo, in continuità con quella di Pisapia. Miliardi di euro a pioggia che girano su interventi di ristrutturazione urbana ed eventi faraonici, per una città in cui la divisione di classe sarà sempre più marcata e opprimente. 

Milano vedrà colate di cemento e acciaio finalizzate a creare business per grandi gruppi capitalisti, operazioni finanziate anche con soldi pubblici e che porteranno l’indebitamento del comune di Milano a livelli stratosferici. La città, nelle intenzioni, sarà rivoluzionata nei prossimi dieci/quindici anni e avrà uno “skyline” fantascientifico, costruito sull’espulsione dei ceti popolari.

A mettere tutti in fila i progetti su cui sta lavorando Sala e il suo gruppo, si ha la dimensione della quantità di denaro che si vuole concentrare sulla città. Facciamo di seguito un breve e parziale elenco, con link di riferimento per chi volesse approfondire le varie iniziative:
1 – Creazione del polo Human Technopole e spostamento delle facoltà scientifiche dell’Università Statale sull’area ex Expo, costo due miliardi di euro;
2 – Trasformazione degli ex scali ferroviari, valore 1,5 miliardi di euro;
3 – Costruzione di un nuovo stadio sull’area del Meazza, progetto da 1,2 miliardi di euro;
4 – Riapertura dei Navigli, costo 500 milioni di euro;
5 – Linea 4 della metropolitana, spesa di 1.7 miliardi di euro nel progetto iniziale, ma i costi continuano a lievitare;
6 – Costruzione della città della salute e polo tecnologico sull’area ex Falck di Sesto San Giovanni, al confine con Milano, valore complessivo di 3,5 miliardi di euro;
7 – Olimpiadi invernali del 2026, spesa di 1,3 miliardi di euro;  
A questi vanno poi aggiunte altre operazioni che comporteranno la costruzione di nuovi grandi e grandissimi edifici e altri centri commerciali sempre più invasivi, come quello della Westfield a Segrate.

UNA CITTA’ CHE EMARGINA ED ESCLUDE

Milano dovrebbe quindi trasformarsi definitivamente dalla città operaia e industriale degli anni ’70 alla città “smart” di domani, nella quale l’immagine è fondamentale e avere barboni, senza casa o altri emarginati nelle strade non fa chic. La rivoluzione urbanistica costa e ha già fatto delle vittime: gli interventi per le periferie, i giovani, la casa, le politiche sociali, sono sempre più ridotti e spesso solamente annunciati. 

Basti guardare i bilanci consuntivi del comune di Milano e i conti si fanno facilmente. Per prendere una delle questioni più rilevanti per i ceti popolari della città, quella delle politiche abitative, di fronte a migliaia di senza tetto, a 27 mila richieste di alloggio popolare inesaudite, a migliaia di appartamenti pubblici vuoti perché da ristrutturare, nel corso del triennio 2016/18 sono stati spesi 309 milioni di euro: ben pochi, specie se teniamo conto che parte di questi soldi sono stati usati per finanziare le centinaia di sgomberi di case occupate.

Non solo, in piena continuità con le politiche liberiste del PD, si accentua la scelta di privatizzare servizi pubblici essenziali. Pochissimi giorni dopo avere dichiarato Milano città in emergenza climatica, è stato aumentato il prezzo dei biglietti e degli abbonamenti del trasporto pubblico, annunciando l’avvio di una operazione (Milano Next) che pone le premesse per una sua privatizzazione.

MA SALA PUNTA MOLTO PIU’ IN ALTO

Dopo il continuo tentativo di Sala di presentarsi come l’antisalvini e il precursore di un nuovo corso del centro sinistra (basti ricordare solo la foto con vistosi calzettoni arcobaleno in occasione del gay pride), questa del daspo potrebbe sembrare una inversione di tendenza poco comprensibile.

Il Sindaco si gioca la faccia con un provvedimento che, dal punto di vista degli effetti materiali, corre il rischio di essere ben poco efficace. Al di là di solleticare l’orgoglio di corpo di qualche zelante membro della polizia locale, è difficile pensare che persone ai margini della società diano un qualche peso ad un provvedimento amministrativo come questo.
Sala è un manager e come tale ragiona. Le sue scelte, le sue parole, le sue azioni partono sempre da una visione utilitarista, cinica e spregiudicata, nel tentativo di raggiungere un obiettivo preciso.

Da tempo settori del PD hanno individuato in lui una persona credibile per ricoprire il ruolo di candidato premier per le prossime elezioni politiche.  
Il profilo è quello dell sindaco della città capitale economica del paese, in cui il centrosinistra e il PD mantengono una grande presenza elettorale, ma anche del manager che che ha portato a compimento il miracolo di Expo (pur lasciando qualche debituccio al Comune di Milano e con una condanna per illeciti amministrativi ma, paradossalmente, questo può diventare una medaglia da esibire).

La sua azione quindi è stata molto precisa, accanto a presunti successi manageriali, ha cercato sin da subito di esibire una faccia di “sinistra” con roboanti dichiarazioni antirazziste, antifasciste e più recentemente ecologiste. Dichiarazioni che venivano puntualmente smentite dai fatti e dall’azione della sua giunta. 

Per esempio al momento del primo decreto Salvini, ha fatto una vigorosa polemica per difendere il diritto dei profughi all’ottenimento della residenza, salvo poi ordinare agli uffici comunali, contrariamente a quello che hanno fatto molti altri sindaci in Italia, di obbedire pedissequamente alla norma.

Ma per diventare premier occorrono, oltre che la facciata progressista e democratica, anche operazioni politiche che contendano alla destra e a Salvini parte dell’elettorato che si sono conquistati in questi ultimi tempi. Se la “gente” vuole ordine, ordine bisogna dare.  

Il daspo in salsa milanese è un tentativo, maldestro per la verità, di conquistarsi uno spazio politico verso destra, per diventare l’antisalvini anche per settori reazionari che, pur concordando con le scelte razziste e repressive del governo giallo-verde, magari non hanno proprio in simpatia quel politico fanfarone. Così, con una mano di vernice rossa e una nera, si può pensare di avere più possibilità per vincere la prossima corsa elettorale. A noi il suo gioco è sempre stato chiaro e abbiamo continuato a denunciarlo colpo su colpo. Continueremo a farlo e a costruire mobilitazione contro questa giunta e i suoi provvedimenti antipopolari.

Insomma oggi, nei tempi del decreto Salvini bis, possiamo dire senza esitazioni che “il re è nudo”. Sala e il PD, lo affermiamo già da tempo non sono la soluzione allo stato di cose presente ma ne sono all’origine.

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