Migliaia e migliaia di antirazzisti hanno risposto sabato 16 febbraio all’appello della Rete Nocpr. Una manifestazione importante non solo per il numero di persone scese in piazza e perché gran parte del corteo era composto da giovani uomini e donne. Gli elementi più importanti della giornata di sabato si incentrano su questioni politiche.
Prima fra tutte è la radicalità della piattaforma, frutto di un lungo lavoro (in parte ancora in itinere) di discussione ed elaborazione che hanno tolto ogni spazio ad ambiguità e non detti. Chi oggi sta cercando di cavalcare il giusto sentimento di orrore nei confronti della barbarie pentaleghista, nascondendo le sue responsabilità su ciò che sta avvenendo nel nostro paese, è smascherato. Ci riferiamo ovviamente al PD nelle sue varie emanazioni che da alcuni mesi sta cercando di recuperare un volto più umano dopo avere gestito, quando era al governo, una politica repressiva e securitaria. Gli accordi con i fantocci libici portano la firma di Minniti, la legge che riapre i CPR porta la firma di Minniti e Orlando, il DASPO urbano porta la firma di Minniti e Orlando. Siamo certi che, se questi signori dovessero tornare a governare riprenderebbero le cose da dove le hanno lasciate e per i lavoratori e le lavoratrici di questo paese sarebbero dolori.
In secondo luogo la capacità di marciare assieme. Decine di realtà organizzate, associazioni, centri sociali, organizzazioni politiche, singoli individui, sono stati in grado di costruire un percorso comune e di respiro. La costruzione di una campagna che vuole durare nel tempo perché tutti e tutte sono coscienti che questa battaglia, quella contro il razzismo delle istituzioni dello stato italiano, sarà di lunga durata e per vincerla occorre mettere insieme il maggior numero di energie possibili sapendo trovare le leve che permettano di avanzare assieme.
Anche le iniziative di avvicinamento alla manifestazione (a partire dalla assemblea dello scorso 19 gennaio al teatro Verdi) sono state importanti: decine e decine di assemblee nelle scuole medie e nelle università, assemblee in diversi paesi dell’hinterland e quartieri della città, flash mob su obiettivi sensibili come la azienda Engie (capogruppo della Gepsa azienda che gestisce i CPR di Torino e Roma) o la sede milanese del Ministero dei Trasporti.
La manifestazione del 16 è stata quindi un indubbio fatto positivo che ha messo un punto fermo sulla capacità di mobilitazione e sulla presa di parole d’ordine semplici ma radicali. Ha però anche messo in mostra le difficoltà in cui operiamo. A partire da un palese e macroscopico dato che fotografa una situazione disastrosa. Se si eccettua una piccolissima delegazione di un sindacato della galassia dei Cobas, la presenza sindacale era pari a zero. Questa volta non si sono viste neppure le presenze, sempre ridotte ma comunque visibili, della precedente manifestazione svoltasi il primo dicembre. Nessuna bandiera della CGIL ma neanche di USB o della CUB o del SiCobas. Semplicemente non pervenuti.
La strada per costruire un movimento che incida in modo significativo è ancora lunga e irta di ostacoli. Uno su tutti quello di mantenere la barra dritta di fronte ad una offensiva politica estremamente pericolosa. Senza essere settari occorre però continuare a mettere in luce come il razzismo sia parte integrante delle politiche liberiste e trova fondamento nelle conseguenze drammatiche del modo di sviluppo delle nostre società: quello capitalistico. Senza cambiare radicalmente il modello economico dominante non è possibile pensare a una società giusta e umana.
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