di M.P.

Due catene del settore della vendita di elettrodomestici, elettronica e informatica hanno annunciato la chiusura di punti vendita, licenziamenti e trasferimenti coatti del personale: si tratta di Media World e Trony.

Media World ha deciso, lo scorso 16 febbraio, la chiusura dei punti vendita di Grosseto e di Milano Centrale. Pochi giorni dopo ha annunciato l’esistenza di una «black list» di altri negozi che potrebbero essere tagliati. Non è noto quali siano, ma la logica implacabile della catena commerciale è chiara: al di sotto di un certo livello di profittabilità, si calano le saracinesche.

Ancora più grave la situazione del marchio Trony, a causa del fallimento della società che detiene il maggior pacchetto di aziende commerciali della catena, la Dps. 43 i negozi chiusi, 500 i lavoratori coinvolti in tutta Italia, di cui 140 in Lombardia, dove chiudono i battenti 9 punti vendita, compreso quello di San Babila a Milano.

Fanno pagare la crisi ai lavoratori e alle lavoratrici

La causa della crisi, che comprimerebbe il numero dei clienti dei canali di vendita tradizionali, starebbe nell’espansione del commercio via internet, che peraltro entrambi i marchi rendono disponibile.

Che sia questo o no il motivo, è evidente che queste catene commerciali si muovono, come i loro concorrenti, finché possono, in un’ottica di «riproduzione allargata», puntando all’apertura continua di punti vendita, fino a saturare la capacità di acquisto dei consumatori.

Quando subentra la contrazione dei tassi di profitto e la dura legge della concorrenza capitalista chiede il conto, prontamente lo fanno pagare ai lavoratori e alle lavoratrici tramite i licenziamenti, il ricatto di trasferimenti in altre sedi e l’aumento dello sfruttamento per chi resta.

Chi sono Media World e Trony

Media World (nota negli altri paesi europei come Media Markt), è una catena tedesca che appartiene al gruppo Media Saturn Holding, una filiale del gruppo Metro. Opera in 15 diversi paesi ed è il principale rivenditore di elettronica in Europa, con un fatturato di 22 miliardi di euro.

Ha di recente annunciato l’apertura di 20 nuovi punti vendita in Turchia, dove ha aumentato le vendite del 30% in un anno, con un investimento di 24,5 milioni di euro. Segno che il gruppo non è, di per sé, in crisi, ma semplicemente decide di investire dove ottiene maggiori profitti e disinvestire dove non ha convenienza.

Diversa e di origine italiana la storia del gruppo Trony (a dimostrazione che i padroni nostrani sono uguali a quelli degli altri paesi). Nata nel 1991 come catena di elettronica controllata al 51% dal gruppo La Rinascente, si è poi trasformata in un gruppo con 16 soci, riuniti in G.R.E. S.p.A. – Grossisti Riuniti Elettrodomestici, che detiene anche l’insegna Sinergy.

Il ruolo dei sindacati

I sindacati di categoria hanno «espresso preoccupazione» per la situazione del comparto, e, in attesa di conoscere le decisioni del gruppo Media World sui rimanenti negozi, hanno indetto uno sciopero nazionale del gruppo, che purtroppo ha avuto una modesta adesione. Nel mentre, procedono in ordine sparso a vertenze locali sull’agibilità sindacale.

Per quanto riguarda il marchio Trony, i sindacati confederali si sono mossi alla ricerca di improbabili nuovi soggetti imprenditoriali disposti ad acquisire i negozi della fallita DPS Group e hanno chiesto incontri a vari livelli istituzionali, dalla Regione al Ministero dello Sviluppo economico. Un sit in è stato organizzato a Bari, davanti ad uno dei tre negozi della città chiusi. Da notare che, già nel 2015, nella catena Trony erano stati fatti contratti di solidarietà difensivi con una riduzione media dell’orario di lavoro del 20%.

Tutto questo può essere utile, ma non appare sufficiente.

La necessità di unificare le lotte

Come si è ben visto in altri comparti, dai metalmeccanici all’energia, affrontare le crisi aziendali singolarmente risulta quasi sempre una strategia perdente, che al più riesce a strappare qualche «ammortizzatore sociale» e qualche modesta indennità di buonuscita.

Servirebbe una strategia di unificazione delle lotte, a partire da ciascun comparto, con obiettivi generali, come la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e la contrattazione dei livelli occupazionali di ciascun sito produttivo in base ai carichi di lavoro.

Non è facile, siamo i primi a dirlo. Anni di sconfitte hanno portato i lavoratori e le lavoratrici alla rassegnazione e si è interrotta la trasmissione di esperienze e conoscenze tra le generazioni che sono state protagoniste delle lotte operaie nello scorso secolo e i giovani che entrano oggi nel mondo del lavoro.

Tuttavia, è anche un problema di volontà. Se si firmano contratti, come quello con Confcommercio di marzo del 2015, che introducono la massima flessibilità dell’orario di lavoro, permettendo il superamento dell’orario stabilito da contratto fino a 44 ore settimanali, è evidente che si sta giocando nel campo dell’avversario e non in quello dei lavoratori e delle lavoratrici.

Sinistra Anticapitalista sosterrà le iniziative che i lavoratori e le lavoratrici di Media World e Trony vorranno mettere in campo nelle prossime settimane e propone una forte campagna nazionale per una legge che introduca un limite di 32 ore di lavoro settimanale, senza decurtazione del salario, anzi con l’adeguamento automatico di quest’ultimo al costo della vita, campagna che veda protagonisti in primo luogo le forze e i/le militanti che hanno danno vita all’esperienza di Potere al Popolo.

Photo credit: Daniel Iversen

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