Questa porta non fa male … è l’ultimo slogan pubblicitario dell’IKEA. Lo spot in questione suggerisce che i mobili, quelli IKEA ovviamente, che vengono presi come scusa per ematomi e segni fisici di percosse, sono in realtà buone cose. Uno spot contro la violenza sulle donne fatto in collaborazione con Telefono Donna in occasione del 25 novembre. Una delle pagine pubblicitarie a sfondo sociale della multinazionale della brugola.
Peccato che quasi contemporaneamente, in quel di Corsico, la direzione IKEA pensava bene di licenziare in tronco una donna madre, separata con due figli uno dei quali invalido per cui lei usufruiva della legge 104, colpevole di non riuscire ad aderire all’ordine di coprire il turno di lavoro che parte dalle 7,00 di mattino per difficoltà oggettive nella gestione dei figli. Ancora più colpevole, la lavoratrice, per avere cercato di farsi difendere dal proprio sindacato, la CGIL questa volta. Cercato perché la direzione IKEA ha pensato bene, in barba a qualsiasi diritto sindacale, di rifiutarsi persino di fare entrare in azienda il dirigente sindacale che vi si era recato per opporsi ad una lettera di richiamo.
Questo licenziamento segue a un mese circa di distanza, quello di un’altra lavoratrice (in questo caso della sede di Bari) che copriva la funzione di caporeparto. A questa lavoratrice IKEA voleva imporre il trasferimento da Bari a Cagliari con dimezzamento delle ore lavorative da 40 a 20 e demansionamento dal primo livello al quarto.
Ipocriti è il meno che si possa dire. Bastardi è la parola giusta.
Non si tratta però di errori o di episodi isolati, in realtà siamo di fronte a una strategia precisa della direzione dell’IKEA. Una strategia che punta alla cancellazione dell’organizzazione sindacale dei lavoratori e delle lavoratrici per costringerli/le a una relazione individuale col datore di lavoro e quindi renderli debolissimi e ricattabili. Una strategia già abbondantemente seguita nel settore della logistica dove sono in corso lotte feroci dei lavoratori e delle lavoratrici per avere riconosciuto il diritto all’organizzazione sindacale e con questa a tutti gli altri diritti. Lo sciopero del “red friday” è un esempio eclatante di quanto sta succedendo.
E così la direzione IKEA si rifiuta di eseguire il reintegro, ordinato dai tribunali, di delegati sindacali rei di difendere i/le dipendenti, emana provvedimenti disciplinari a ciclo continuo contro tutti e tutte, trasferisce persone da una sede all’altra per ritorsione e, oggi, licenzia una ragazza madre senza motivo alcuno.
La pubblicità sociale dell’IKEA è una farsa dietro alla quale vi sono storie di prevaricazione, soprusi e sfruttamento. Continueremo a denunciarli e anche a contrastarli.
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