Da “Corriere della Sera”
La prima tagliola è già scattata. Da ieri, i dipendenti precari della Città metropolitana sono stati lasciati a casa. Anche se ufficialmente la vecchia Provincia non ha ancora depositato il temuto bilancio che, così com’è, ne certificherebbe il dissesto. È bastato superare il termine del 30 giugno per paralizzare di fatto interi settori che si reggono esclusivamente (o quasi) sulle forze non stabilizzate.
«Non ce ne andremo in silenzio – avvertono i trentatré precari – alzeremo la voce». Ieri mattina hanno protestato nel cortile di Palazzo Isimbardi, e non escludono di tornare a occupare la sede dell’ente. Se non si troverà una soluzione (anche solo temporanea) a breve, i disagi si scaricheranno presto su cittadini, automobilisti e imprese. Mentre tutti i consiglieri metropolitani sono pronti a rassegnare le dimissioni.
A fronte del «buco» da 50 milioni di euro, le speranze sono riposte nella promessa da Roma di una proroga in arrivo giovedì. Una boccata d’ossigeno che dovrebbe permettere al governo – almeno queste le rassicurazioni arrivate da Palazzo Chigi – di trovare una soluzione definitiva, con tanto di delegazione del ministero dell’Economia attesa in città il 17 luglio per studiare le carte. […]
I primi a pagare sono stati i precari. I contratti sono scaduti a fine giugno, e senza i conti in ordine non si possono prorogare. «Non solo siamo a casa, ma rischiamo oltre al danno la beffa perché siamo a un passo dalla regolarizzazione prevista dalla legge Madia – spiega Raffaella Correnti, tecnico ambientale e rappresentante del coordinamento dei precari – mentre nel frattempo molti settori sono paralizzati. Gli allegati tecnici alle autorizzazioni ambientali per le imprese, ad esempio, le scriviamo noi: nessun altro dipendente a tempo indeterminato è in grado di farlo; e oltre un terzo dei cantonieri che monitora le nostre strade è precario. Ora non ci resta che aspettare le decisioni di giovedì».
Il nostro commento
Una gigantesca redistribuzione di risorse dal basso verso l’alto, dai lavoratori e dalle lavoratrici in favore della borghesia, è in corso nel nostro Paese quanto meno negli ultimi vent’anni. Lo Stato si fa garante, come un Robin Hood all’incontrario, di questa manovra, che assume la forma, dal lato del prelievo, della distruzione dei servizi pubblici, dell’aumento delle tariffe per le prestazioni sanitarie, della demolizione del sistema pensionistico, del blocco dei contratti nazionali del pubblico impiego.
Dal lato del “dare”, la ruberia si concretizza in un’enorme diminuzione della tassazione sulle imprese (svariati miliardi di euro), negli aiuti a fondo perduto alle stesse, nella decontribuzione delle assunzioni, nella semplificazione delle imposte dei redditi (facendo saltare il principio: chi più ha, più paga).
Un aspetto specifico della distruzione dei servizi pubblici è l’attacco alle province e alle città metropolitane sferrato dai governi Renzi, prima, e Gentiloni poi, sostenuto peraltro da una demagogica campagna di stampa (in particolare del “Corriere della Sera”). Questi enti sono stati dissanguati: ricevono tributi locali per poi girare gran parte di queste somme allo Stato, in nome del risanamento.
Poiché le province non erano enti inutili, contrariamente a quanto si è voluto far credere, a farne le spese sono stati la manutenzione degli edifici scolastico e delle strade, il trasporto pubblico locale, l’assistenza agli studenti disabili, la vigilanza ambientale. Non c’è differenza di colore politico: tanto dove governa il centrosinistra, quanto dove governa il centrodestra, Province e Città metropolitane sono tecnicamente sull’orlo del default.
Non sorprende, allora, che vittime di questa situazione siano i lavoratori precari della Città metropolitana di Milano. Una condizione, quella del lavoro non garantito, che per queste persone si trascina ormai da anni, e alla quale né l’arancione Giuliano Pisapia né il manageriale Giuseppe Sala hanno saputo dare una soluzione.
A questi lavoratori e lavoratrici va tutto il nostro sostegno e la disponibilità a supportare le forme di lotta che decideranno di intraprendere. (m.p.)
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