Siamo oramai a pochi giorni dalla data del 20 maggio, giornata in cui l’amministrazione comunale milanese per mano dell’assessore Maiorino, ha indetto una manifestazione nazionale per “l’accoglienza dei profughi” titolata “insieme senza muri”. In un articolo precedente avevamo messo in luce le ambiguità presenti nell’operazione. Dopo di allora (parliamo del 28 febbraio) le cose sono andate peggiorando.

Il decreto Minniti è stato trasformato in legge ed è stato immediatamente usato in funzione di un forte aumento della repressione nei confronti degli immigrati da una parte e degli oppositori al governo dall’altra. In particolare proprio Milano è stata protagonista di una prova di forza “muscolare” quanto inutile.

Il 2 maggio scorso un imponente schieramento di polizia con tanto di unità cinofile, polizia a cavallo, elicotteri e l’immancabile Matteo Salvini, hanno circondato e rastrellato la stazione centrale di Milano e le aree immediatamente vicine perquisendo e identificando chiunque non fosse bianco.

L’operazione, conclusasi con un nulla di fatto dal punto di vista degli effetti concreti, ha mostrato in tutta la sua potenza, la forza repressiva della legge Minniti-Orlando e cosa lo “stato democratico” può mettere in campo.

Il sindaco Sala ha sostenuto di non essere stato informato dell’operazione. Difficile da credere visto che tra gli interpreti vi erano forze della polizia locale che ci risultano essere alle dipendenze del comune e che l’AMSA era stata allertata per una grossa operazione di bonifica dell’area (bonifica che ha avuto come conseguenza quella di fare perdere a molti profughi i pochi averi che possedevano). Se però cosi è allora è indubbio che il segnale, oltre che alla popolazione e ai profughi, era per la stessa amministrazione comunale e frutto di uno scontro interno al PD.

Pochi giorni dopo, il 7 maggio, un uomo di 31 anni proveniente dal Mali e in attesa dello status di rifugiato, si è impiccato appendendosi alla massicciata della stazione centrale, a pochi metri dall’hub per i profughi di via Sammartini, uno dei “fiori all’occhiello” della politica di accoglienza della giunta milanese.

Due episodi, a pochissima distanza temporale l’uno dall’altro, che segnano in modo indelebile la manifestazione del 20.

A sentire i promotori della manifestazione e anche il media-sponsor della stessa (si ci riferiamo a Radio Popolare), quella giornata deve essere una festa che metta in mostra il mondo dell’associazionismo solidale. Cosa giusta e buona ma assolutamente insufficiente.

Qualcuno ci deve spiegare come sia possibile scendere in piazza oggi in solidarietà con i profughi e gli immigrati, senza porre il problema del quadro legislativo con cui bisogna fare i conti. Dal varo della legge Turco-Napolitano (di centro-sinistra memoria), alla Bossi-Fini e infine alla liberticida Minniti-Orlando, si è sviluppata una azione istituzionale tremenda, tesa a creare una doppia legislazione che renda ancora più diseguali italiani/e ed immigrati/e. Non parliamo poi dei famosi accordi bilaterali con i paesi di provenienza (pratica istituita, come i CIE, dalla legge Turco-Napolitano): veri crimini contro l’umanità di cui il governo Gentiloni si sta rendendo protagonista.

Ecco allora che una mobilitazione antirazzista e in solidarietà con i profughi e gli immigrati non può non scendere sul piano della lotta contro il governo chiedendo a gran voce l’abrogazione di tutto l’apparato repressivo messo in opera. Occorre rivendicare la cancellazione della legge Minniti-Orlando ma anche delle leggi che l’hanno preceduta e preparata. Se non si fa questo, e Sala e Maiorino non lo fanno, si è complici.

Sabato 20 maggio la presenza di chi non vuole essere complice sarà ampia. I promotori dell’appello “no one is illegal” in primis, organizzazioni della solidarietà, militanti antirazzisti, tutti insieme porteranno in quella piazza un messaggio preciso: cancellare la legislazione razzista dello stato italiano. Noi saremo con loro.

 

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