Si moltiplicano le iniziative in preparazione della manifestazione nazionale del prossimo 11 febbraio, a Milano, che rivendicherà la liberazione del leader curdo Abdullah Öcalan e di tutte e tutti i prigionieri politici in Turchia.
A Novate Milanese è stato fissato un incontro pubblico dall’eloquente titolo «A fianco del popolo curdo», che si terrà mercoledì 8 febbraio alle ore 21, presso il circolo «Sempre avanti» in via Bertola 11 (si trova in centro città, a 400 metri dalla stazione ferroviaria).
Durante la serata verrà proiettato un video della campagna «Oltre le sbarre», a sostegno delle principali organizzazioni della società civile turca e curda che si occupano dei detenuti politici in Turchia.
Seguiranno gli interventi di Luciano Muhlbauer e Marco Panaro, rispettivamente di Rifondazione comunista e di Sinistra Anticapitalista, i due partiti che insieme propongono l’iniziativa novatese.
E come abbiamo anticipato, sabato 11 febbraio si terrà a Milano (concentramento alle ore 14 in corso Venezia angolo via Palestro) il corteo nazionale che chiederà il rilascio del leader del Pkk Öcalan, da 18 anni in isolamento a Imrali, e la scarcerazione di tutti i prigionieri politici in Turchia. Sinistra Anticapitalista ha dato la propria adesione alla manifestazione e invita con forza a parteciparvi.
Nuovi muri contro democrazia e autogestione
Oggi è doveroso sostenere la resistenza del popolo curdo, non solo per la legittimità storica delle sue rivendicazioni e neppure solo per ciò che ha rappresentato nella lotta, a caro prezzo, contro l’ISIS, ma anche per il modello libertario e comunitario di gestione della società che viene sperimentato a partire da quella che è stata chiamata la «rivoluzione del Rojava».
Un cambiamento di filosofia politica e programmatico che non riguarda, in realtà, solo il Kurdistan siriano, dove opera il Partito dell’Unione Democratica (PYD), ma che ha investito anche il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), nel Nord Kurdistan, ovvero nelle zone attualmente occupate dalla Turchia.
Il tentativo, in entrambi i casi, è quello di costruire, pur nelle difficoltà di un contesto di guerra e di oppressione nazionale, una società democratica, ecologica e liberata dall’oppressione di genere. Un lavoro non puramente teorico, ma che si articola nella ridefinizione di pratiche politiche e istituzioni di autogoverno.
Non è questo il luogo per discutere approfonditamente l’idea di una «democrazia senza uno stato», ma non si può non valorizzare il fatto che, in un’epoca storica di grande barbarie ideologica e materiale, vi sia chi si cimenta con la realizzazione di una società nella quale le persone possano vivere insieme senza sfruttamento, patriarcato e razzismo, una «società etica e politica» con una struttura istituzionale democratica e autogestionaria.
La barbarie, d’altra parte, nel campo avverso, è lì da vedere: laddove l’esercito turco, occupante del Nord Kurdistan, continua le sue incursioni nel Rojava (Kurdistan occidentale), per consentire la costruzione di un muro che segni brutalmente il confine.
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