Scriviamo questa nota dopo la liberazione di Aldo Milani, il coordinatore nazionale del SiCobas arrestato due giorni fa dalla questura di Modena con l’infamante accusa di estorsione.

Ad Aldo è stato comunque inflitto l’obbligo di dimora nel comune di residenza in Lombardia e quello di firma con l’evidente tentativo di limitare almeno in questo modo la sua libertà di azione sindacale.

A seguito riportiamo l’articolo di Popoff Quotidiano che illustra in modo esemplare tutta la vicenda. Vogliamo però aggiungere due cose.

Intanto il tentativo della questura di Modena è estremamente pericoloso perché si cerca di fare passare la logica che le richieste dei lavoratori, se supportate da azioni di lotta anche radicali come quelle messe in campo dal SiCobas, sono estorsioni nei confronti dei padroni. Si riduce così la lotta di classe a un mero problema di giustizia penale.

Inutile dire che cosa significherebbe se una tale logica diventasse operante. In un periodo in cui la condizioni di vita e di lavoro di tutti noi subiscono quotidiani attacchi e arretramenti, relegare la lotta per la difesa dei propri diritti a un fatto estorsivo, apre autostrade all’utilizzo sistematico dell’apparato repressivo contro tutti e tutte quelli/e che si oppongono, sia politicamente che sindacalmente: la Val Susa è stato solo l’inizio.

In secondo luogo, lo vogliamo dire, è estremamente preoccupante che, di fronte a una operazione palesemente artificiale e provocatoria, la gran parte delle organizzazioni sindacali e politiche della sinistra, ma anche moltissimi compagni e compagne, abbiano scelto la strada del silenzio o, addirittura, dell’accettazione delle infamanti accuse a Milani. E’ mancata totalmente la comprensione della portata dell’attacco e soprattutto che l’attacco al SiCobas è solo parte di un progetto repressivo contro le lotte sociali che sta via via prendendo forma.

La nostra piccola, ma combattiva, organizzazione non ha esitato, assieme a pochissime altre, a schierarsi nella richiesta per la liberazione di Aldo, altrettanto non hanno fatto molti altri comprese le organizzazioni del sindacalismo di base che non sono in grado neppure oggi, neppure dopo la sostanziale venuta meno delle accuse giuridiche, di dire nulla (a eccezione della vergognosa presa di posizione di Bernocchi a nome della Confederazione COBAS).

Se toccano uno toccano tutti dice uno slogan molto usato nelle lotte dei lavoratori della logistica, purtroppo siamo ancora molto lontani.

tratto da: http://popoffquotidiano.it/

Aldo Milani è fuori! Crolla il teorema contro il SiCobas

«Ho letto le carte, Aldo Milani è estraneo ai fatti», spiega l’avvocata del SiCobas, Marina Prosperi. Si attende la decisione del giudice dopo l’udienza preliminare

di Checchino Antonini

16358839_10210800134614420_1060617729_n«Aldo è fuori!», annuncia con emozione Marina Prosperi, «lo stiamo andando a prendere!». All’uscita dal carcere di Modena, poco dopo le 16, Milani sarà quasi soffocato dalla festosa accoglienza di chi lo ha sostenuto con lo sciopero e il presidio. «Mi hanno tirato un tranello – sono le prime parole del 63enne milanese – una persona s’era presentata dicendo che aveva collegamenti alla Levoni…» «Su Aldo Milani non c’è nulla – aveva spiegato poco prima a Popoff, la legale del SiCobas, al termine dell’udienza preliminare e dopo aver letto finalmente gli atti della Procura –  perfino i Levoni nella loro denuncia chiariscono che non hanno assolutamente idea del suo eventuale coinvolgimento».

Dunque Aldo Milani, coordinatore nazionale del SiCobas, arrestato per estorsione assieme a un personaggio estraneo al sindacato di base, torna a casa con decisione della gip di Modena Eleonora De Marco, sebbene con obbligo di dimora in Lombardia e l’obbligo di firma. L’altro va ai domiciliari sotto scorta. Nell’udienza preliminare si è avvalso della facoltà di non rispondere, a differenza di Milani che ha ribattuto punto per punto. Daniele Piccinini, questo il nome dell’uomo, è legato a una delle cooperative che forniscono manodopera all’azienda dei fratelli Levoni. Il suo ruolo nella vicenda è ancora oscuro ma già dalle prime ore dopo l’arresto, il SiCobas aveva smentito la sua appartenenza al sindacato e s’era chiesto che cosa ci stesse a fare al tavolo della complessa trattativa.

52 licenziati di Alcar Uno, filiera Levoni, all’atto di fare richiesta di accesso alla NASPI, avevano scoperto che le cooperativa Alcar Uno, in appalto per Levoni, non aveva versato i contributi INPS utili a maturare l’assegno di disoccupazione. Milani ha chiesto che Levoni saldasse quest’ammanco, «ovviamente non certo consegnando del denaro liquido bensì versando le somme contributive mancanti attraverso le modalità previste dalla legge così come risultanti dai modelli F24!», specifica il SiCobas.

Il clamoroso arresto “per estorsione” ha ottenuto una copertura mediatica fuori dal comune per un mainstream giornalistico abitualmente cieco e ottuso di fronte alle vicende del sindacalismo combattivo. Troppi giornalisti si sono prestati alla pratica infame di sbattere il mostro in prima pagina senza altra prova se non quella fornita dalla questura: una velina e un video a cui era stato scientemente tolto l’audio. “Ecco il film della mazzetta”, «Pagate 90mila euro per la cassa di resistenza e non ci saranno altre mobilitazioni», sono solo alcuni dei titoli comparsi nelle ultime 24 ore per sostenere l’idea di una violenza strumentalmente pilotata durante le proteste. «Abbiamo il sospetto – ha detto il procuratore capo di Modena, Lucia Musti – che altri imprenditori siano stati vittime di questo sistema estorsivo. A loro chiediamo di farsi avanti. La pace sociale non può essere merce di scambio». Una bomba contro il SiCobas e contro la possibilità per tutti che possano esserci pratiche sindacali conflittuali che, molto spesso, in questi anni hanno conseguito successi che le tiritere concertative non sono mai state in grado di conseguire. Negli hub, a macchia di leopardo e specialmente al nord, sono proseguiti gli scioperi dei facchini e almeno cinquecento persone hanno manifestato anche oggi di fronte al carcere di Modena dove s’è svolta l’udienza preliminare. Assieme ai lavoratori SiCobas c’erano militanti di Sinistra Anticapitalista, Pcl e di Falcemartello che da subito hanno condiviso lo sdegno e l’incredulità per una vicenda giudiziaria che aveva tutto il sapore di una trappola, di una montatura.

Oggi davanti al carcere di Modena OGGI DAVANTI AL CARCERE DI MODENA

I confederali, che vedono come fumo agli occhi le pratiche non concertative, non hanno perso l’occasione di blaterare sulla legalità: «I fatti di Modena ancora una volta evidenziano le distorsioni presenti nel settore della logistica che versa in uno stato di degrado – scrivono unitariamente Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti – sono in atto dinamiche distorte che denunciamo da anni e che inquinano l’intero settore e danneggiano i diritti e le condizioni dei lavoratori. Con l’istituzione del ‘Tavolo della Legalità’ del 2014 abbiamo chiesto un intervento strutturato del Governo per ripristinare regole e modalità trasparenti nonché attivare misure di contrasto ad ogni forma di illegalità». Una delle dinamiche distorte, però, la più dannosa per chi lavora, è perfettamente legale: la condiscendenza dei sindacati confederali ai dictat padronali, la subalternità ai governi, la rinuncia a dare voce ai bisogni dei lavoratori. Distorta, come dinamica, anche la “prudenza” nei confronti della macchina del fango sul SiCobas da parte di chi considera competitor ogni esperienza sindacale estranea alla propria parrocchietta. Con pochissime eccezioni (per esempio la minoranza Cgil, Il Sindacato è un’altra cosa, l’Adl, i lavoratori e delegati indipendenti Pisa), le sigle di base sono state timidissime con alcune punte di parossismo come quella toccata da Piero Bernocchi che ha preso parola per invitare «tutti i mezzi di informazione ad evitare qualsiasi confusione tra i Cobas e il cosiddetto SI Cobas». Una presa di posizione che ha causato malumori anche all’interno della sua organizzazione. «Un abuso terrificante, un atto repressivo gravissimo: arrestare segretari sindacali con accuse costruite ad arte per ingabbiare le lotte sul lavoro è fascismo puro», scrive Acad Onlus esprimendo «piena solidarietà ad Aldo e a chi come lui ogni giorno non abbassa la testa per rivendicare i diritti dei lavoratori».

FOTO DAL CORTEO DI ROMA

Da parte sua il SiCobas ha diffuso un terzo comunicato dall’inizio della vicenda, eccone uno stralcio:

Col passare delle ore diviene sempre più evidente l’infondatezza del castello accusatorio ordito dalla Questura di Modena contro Aldo Milani e soprattutto l’infame disegno politico che si cela dietro questa vicenda, teso a screditare e “sporcare” tramite un bombardamento mediatico la lotta portata avanti dal SI Cobas a livello nazionale contro lo sfruttamento nei luoghi di lavoro.

Il teorema della Questura, assunto come solenne da tutti gli organi di stampa è: due dirigenti del SI Cobas hanno ricattato un povero imprenditore estorcendo e ricevendo soldi dietro la minaccia di scioperi.

Analizziamo per punto per punto questo teorema, e vedremo che la verità è non solo diversa, ma per certi versi l’opposto di quanto sostenuto dai media.

1) Chi ha ricevuto i soldi? Come evidenziato nel precedente comunicato e come si vede dallo stesso video della Questura, non è stato Aldo Milani (coordinatore nazionale SI Cobas) a ricevere la busta coi soldi, bensì Danilo Piccinini, presentato dalla stampa come SI Cobas ma, lo ripetiamo e lo ribadiremo con forza in tutte le sedi competenti, non solo del tutto estraneo all’organizzazione ma presentatosi al SI Cobas in qualità di consulente del gruppo Levoni con lo scopo di avere un ruolo nella trattativa.

Di quanto affermiamo abbiamo prove certe ed incontrovertibili, che al momento sono al vaglio delle autorità inquirenti e che appena possibile renderemo pubbliche! (…)

2) Cosa chiedeva il SI Cobas a quell’incontro? La discussione con Levoni, come anche in questo caso abbiamo ampiamente chiarito nel precedente comunicato, era il frutto di mesi di lotte dei lavoratori sfociate in 52 licenziamenti. Si parlava di soldi? Chiaramente si, come in ogni trattativa sindacale, che per definizione ha ad oggetto richieste e rivendicazioni di natura economica.

E cosa chiedeva Aldo Milani per conto del SI Cobas? Chiedeva, con la forza e la determinazione che caratterizzano il nostro sindacato, nient’altro che il rispetto delle leggi vigenti iateria di CCNL. (…)

3) Una volta chiarita la strumentalità dell’accusa di estorsione e l’estraneità di Milani alla consegna di denaro (quindi gli aspetti di natura strettamente giudiziaria) resta il nocciolo politico della questione, ossia l’accusa di minacciare la controparte con l’arma dello sciopero.

Chi pensi di muoverci questa accusa sappia che come SI Cobas non abbiamo alcun problema a rivendicare appieno questo metodo, che si è articolato in migliaia di lotte e vertenza che hanno consentito a decine di migliaia di lavoratori di passare dalla condizione di schiavi di cooperative e padron i senza scrupoli, a titolari di diritti e soprattutto di un salario non da fame!

Chiunque ci muova una simile accusa, sia che lo faccia in maniera esplicita sia che lo lasci trasparire attraverso allusioni o stucchevoli “prese di distanza”, non solo avvalora il teorema accusatorio, ma si assume, tantopiù se si tratta di organizzazioni sindacali o di “movimento” a legittimare l’unico obbiettivo reale di questa inchiesta: legittimare l’attacco al diritto di sciopero, già attaccato pesantemente dalla miriade di riforme del mercato del lavoro (in ultimo il Jobs Act) e dalle normative antisciopero inasprite dai governi a guida PD e dall’attuale ministro del lavoro Poletti.

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