di Marco Panaro
La situazione di grave repressione contro la minoranza curda e più in generale la svolta autoritaria in atto in Turchia impongono una ripresa della mobilitazione di solidarietà internazionalista anche nel nostro Paese.
Il 14 gennaio a Milano e Roma si sono tenute due assemblee organizzative per l’avvio del percorso di costruzione della manifestazione nazionale dell’11 febbraio 2017 per «la libertà di Öcalan e di tutte le prigioniere e tutti i prigionieri politici in Turchia – Pace e giustizia in Kurdistan».
Sinistra Anticapitalista ha partecipato, dando la propria adesione e il proprio impegno per la riuscita della manifestazione di Milano, momento di grande importanza per la comunità curda in Italia, che si svolgerà in contemporanea a una grande iniziativa di piazza europea a Strasburgo.
Nell’introduzione delle assemblee è stata sottolineata la gravità della situazione che, oltre alla stretta repressiva in atto in Turchia, vede l’estensione della situazione di guerra attuale nel Bakur-Turchia, Rojava-Siria e nel Medio Oriente.
Guerra e repressione politica
La brutalità della guerra in Kurdistan, che ha visto la distruzione di intere città, è già costata la vita a migliaia di civili, e ha portato con sé arresti di massa di politici, intellettuali, accademici, giornalisti, attivisti, avvocati e magistrati, fino ad arrivare ad un presunto piano per l’eliminazione fisica del leader curdo Abdullah Öcalan.
La gravità del momento impone quindi di lavorare per una grande manifestazione, più inclusiva e partecipata possibile, per denunciare la complicità dell’Unione europea, delle potenze internazionali e dello stesso governo italiano.
Nei giorni scorsi, sono stati rinviati a giudizio Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ, i co-presidenti del HDP, Partito democratico dei popoli, organizzazione che in Turchia è schierata a favore dei diritti della minoranza curda. L’indagine è stata avviata dall’ufficio del pubblico ministero di Diyarbakir. I due esponenti politici sono in carcere dal 4 novembre.
Nell’atto di accusa contro Selahattin Demirtaş, si sostiene che il co-presidente del HDP avrebbe svolto «propaganda per un’organizzazione terroristica, con espressioni tese a legittimare il terrorismo, l’uso della forza e la violenza». Per Demirtaş è stata chiesta una pena detentiva di durata compresa tra 43 e 142 anni.
Arresti e presidenzialismo
Per la co-presidente del HDP Figen Yüksekdağ il pubblico ministero chiede la condanna a una pena tra 30 e 83 anni, con riguardo alla sua qualità di «dirigente di un’organizzazione», per le sue precedenti attività nel partito DTK.
L’iniziativa giudiziaria dev’essere letta nel quadro della strategia di «genocidio politico» che il governo turco sta portando avanti nei confronti dei movimenti e delle organizzazioni espressioni della minoranza curda.
Ciò avviene mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan progetta di espandere notevolmente il proprio dominio sul Paese, attraverso una serie di modifiche alla Costituzione, che prevedono l’istituzione di una figura presidenziale con poteri esecutivi. Il presidente potrebbe nominare e licenziare i ministri, mentre la carica di primo ministro sarebbe abolita per la prima volta nella storia della Turchia moderna.
Nella serata di domenica 15 gennaio, il Parlamento ha approvato le due sezioni finali della nuova costituzione, composta da 18 articoli, dopo una maratona di discussione che ha previsto numerose sedute parlamentari protrattesi fino a tarda notte. Il testo dovrà essere nuovamente discusso e, se approvato da almeno 330 parlamentari su 550, un referendum potrebbe aver luogo all’inizio di aprile.
E’ da sottolineare che la discussione del disegno di legge di modifica costituzionale avviene mentre è in vigore lo stato di emergenza, proclamato dopo il controverso tentativo di colpo di stato della scorsa estate contro Erdogan .
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