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di Marco Fabio Panaro

Contrariamente a quello che pensano molti italiani, le province non sono ancora state abolite. In realtà, la legge 56 del 2014, approvata su proposta del ministro Delrio, le ha trasformate in enti di secondo livello, ovverosia ha sottratto ai cittadini la possibilità di eleggere gli organi che le amministrano. Sarà invece la riforma costituzionale, voluta dal governo Renzi, a stabilirne la definitiva soppressione, modificando l’articolo 114 della Carta fondamentale. Dunque, il referendum di fine autunno riguarda anche questo.

Le province non sono enti inutili. Esse continuano ad occuparsi di pianificazione territoriale, di trasporto pubblico, di manutenzione della rete stradale e di edilizia scolastica. Di grande rilevanza sociale sono i servizi, nelle scuole superiori, per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio, che comprendono sia l’organizzazione di trasporti speciali che la relativa assistenza ad personam.

Le province sono però enti dissanguati. La legge di stabilità 2015 ha ridotto in modo sostanziale le risorse a loro disposizione, prevedendo che gli enti di area vasta (comprese le città metropolitane) devono versare allo Stato un miliardo di euro nel 2015, due miliardi nel 2016 e tre miliardi nel 2017. Di fatto, le Province sono costrette a comportarsi come vampiri, nei confronti dei cittadini: gran parte delle risorse che derivano da tributi autonomi (RCAuto e IPT) sono restituite allo Stato, nel nome della riduzione della spesa pubblica, e non possono essere utilizzate per lo svolgimento delle funzioni fondamentali.

Secondo l’Unione delle province italiane, per il 2016 il prelievo ammonta a 1,7 miliardi, a fronte di 2,6 miliardi di entrate correnti. Poiché servirebbero almeno 1,5 miliardi per gestire le funzioni fondamentali, c’è uno squilibrio strutturale di 600 milioni. Senza contare che, nel 2017, le Province dovrebbero rendere ulteriori 650 milioni. Il risultato è che la grande maggioranza degli enti non ha ancora potuto approvare il bilancio di previsione per l’anno 2016: i conti non tornano.

Ma c’è di peggio: per citare solo alcuni esempi a macchia di leopardo, la Provincia di Monza e Brianza ha annunciato che il 31 ottobre 2016 sospenderà tutti i servizi di trasporto pubblico, perché non ha più i soldi per onorare i contratti; sempre per mancanza di fondi, in molte parti d’Italia non è stata attivata, con il nuovo anno scolastico, l’assistenza agli alunni disabili; Alessandria fa sapere che non è certa di poter garantire la manutenzione e il riscaldamento delle scuole e nemmeno di pagare gli stipendi ai propri dipendenti; a Brindisi, dichiara il Presidente, la Provincia “può dirsi definitivamente fallita”.

Tutto questo non è frutto di errori di calcolo. Il governo vuole che le province, prima di essere cancellate, distruggano i servizi ai cittadini o li riducano ai minimi termini. Le province sono, in questo momento, altrettante bad company. Renzi intende consolidare, in questo modo, un ulteriore taglio alla componente sociale della spesa pubblica, un altro tassello delle politiche di austerità. La mistificazione è stata quella di presentare l’operazione come un taglio dei costi della politica: che c’è stato, ma vale solo 34 milioni di euro all’anno, come certificato dalla Corte dei Conti.

Il referendum di autunno sulla riforma costituzionale assume anche questo valore: un “sì” o un “no” alla distruzione di un altro pezzo dello stato sociale. Inutile dire che Sinistra Anticapitalista è per il no!

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